BEZIERS
Prologo














SARAGOZZA
Capitolo 1
Città davvero piacevole, moderna e molto europea, dolcemente adagiata sul Rio Ebro. Fondata dagli onnipresenti Romani nel 23 a.C. col nome di Caesaraugusta (ricordata con i resti dell'anfiteatro), sul pre-esistente centro celtibero di Salduba. Negli anni precedenti e subito successivi alla caduta dell'Impero Romano, divenne una delle prime città cristiane della Spagna, con la sua diocesi dal 5° secolo. Fu occupata dagli Svevi nel 452, e successivamente dai Visigoti nel 466 fino a circa il 714, quando fu conquistata dagli arabi, dandole il nome di Saraqustah (ricordati con il palazzo reale della Aljafería, all’epoca del secondo re della dinastia dei Banù Hùd, al-Muqtadir (1046-1082), e realizzato nello stile dell’arte dei regni di Taifas). Il 19 dicembre 1118 fu definitivamente tolta dalle mani arabe da Alfonso I d’Aragona, in quei lunghi anni della Reconquista, culminata nel 1492. Ricordiamo la Cattedrale in stile mudéjar, detta La Seo (in ristrutturazione la facciata), e impiantata su quella che fino ad allora era stata la moschea maggiore della città, consacrata solennemente dal vescovo Pedro de Librana il 4 ottobre 1121. Maestosa la Basilica de Nuestra Senora del Pilar, incominciata nel 1681 su disegni di Francisco Herrera "el Mozo"; molto bello l'interno con tesori vari, tra i quali alcuni dipinti del giovane Goya, nato nel non lontano micro-paese di Fuendetodos. Meriterebbe almeno un giorno in più di permanenza. Segnato per la prossima.




















LOARRE, el CASTILLO y AGÜERO
Capitolo 2 Paragrafo 1
L'aragonese Loarre, nella provincia di Huesca, apparentemente sembra essere un paesino anonimo. Leggendo, però, le mappe e le locandine poste nel paese, si scopre che così non è, e che anzi presenta tesori e ricordi storici non proprio di secondo piano. Ovviamente Loarre è famosissima per il celeberrimo castello, costruito su di uno sperone roccioso, che controllava una via di importanza strategica che conduceva da Jaca a Huesca. È uno dei migliori esempi di architettura romanica militare e civile in Spagna. A lungo sottoposta alla dominazione musulmana, fu riconquistata intorno al 1020 dal re di Navarra Sancio Garcés III detto el Mayor (1004-1035). Nel corso della seconda metà dell'undicesimo secolo, divenne la base da cui partirono gli Aragonesi impegnati nella conquista della valle dell'Ebro. Il re d'Aragona Sancio Ramirez (1063-1094), alla sua funzione militare ne aggiunse una religiosa, insediandovi una comunità di Canonici regolari sottoposti alla Regola di S. Agostino. A causa della conformazione del terreno, esso si innalza su due livelli, l'inferiore dei quali è occupato da una cripta e da una notevole scala diritta, cui si accede attraverso un portale. La cripta, bassa e coperta a volte, dai muri assai spessi, è rischiarata da tre feritoie. La chiesa superiore, nonostante l'unica navata, dovuta alla sua collocazione nella cinta muraria, è una pregevole manifestazione dell'arte romanica di inizio sec. 12°. Sul retro del castello a nord ci sono i Pirenei e l’importante città di Jaca. Il ritrovamento di monete romane nel parcheggio del castello porta a pensare che questo sia stato costruito su un pre-esistente insediamento. Per gli amanti del cinema, è stata una delle location del film di Ridley Scott: "Le Crociate - Kingdom of Heaven", 2005. Le gentili cassiere all'ingresso ci dicono che il biglietto è valido per l'ingresso alla Iglesia de San Esteban, nel centro del paese, e che merita assolutamente la visita. A dire il vero sono un po' scettico, ma proviamo lo stesso ad andarci. Questa chiesa è stata eretta nel XVIII secolo su un edificio precedente del XVI secolo, di cui solo la torre e la cappella al piano inferiore sono conservati. Davvero belli gli interni con i suoi retabli, fortemente decorati come consuetudine delle chiese spagnole, così come il portone di ingresso; interessante la cappella con le spoglie del santo, le cui pareti sono decorate con degli affreschi che, purtroppo, si stanno man mano deteriorando. Finita la breve visita ci rimettiamo in moto per raggiungere l'altra meta di oggi, facendo tappa a Agüero, incastonata in modo suggestivo sotto un impressionante sperone roccioso. Altrettanto suggestive sono le Aquile che sovrastano le teste, incuriosite, forse, dalla presenza di forestieri. Sarà davvero un leit-motiv questo, in terra Aragonese, ai piedi dei Pirenei. E ce lo godiamo tutto.



















SAINT JUAN DE LA PENA
Capitolo 2 Paragrafo 2
E' composto da due monasteri: quello nuovo (posto SULLA collina), e quello vecchio (posto SOTTO la collina). Dimentichiamoci del primo. Spettacolare la sua costruzione, al di sotto del costone di una roccia, in mezzo alla fitta boscaglia e mimetizzato in modo incredibile con l'ambiente circostante. L'impressione è quella della sua edificazione in un altro posto, e trasferita lì a mo' di plastico, adattata in qualche modo dentro la roccia. La sua costruzione risale all'XI secolo ed è composta da una zona "residenziale", una chiesa superiore e una inferiore, le Cappelle di San Vittorio e di San Voto, il Chiostro e il Pantheon dei Reali, tra i quali Ramiro I, Sancho Ramirez e Pietro I. Pare che qui sia stato custodito il Sacro Graal, una cui copia è collocata in una delle tre absidi della chiesa alta. A seguito della riforma Cluniacense, divenne il primo monastero in Spagna a officiare la messa in latino. Bellissimi i capitelli con elementi zoomorfi e istoriati; non da meno, i resti pittorici della cappella della chiesa inferiore, dove sono raffigurati il Martirio dei ss. Cosma e Damiano. Il posto è straordinario.















ALQUEZAR
Capitolo 2 Paragrafo 3
Il nome è tutto un programma; le immagini lo confermano. Raggiungiamo questo micro-paese di 290 anime ancora respiranti, direttamente dal Monastero di San Juan de la Pena (Paragrafo 1), dopo aver percorso 140 km attraverso il suggestivo territorio aragonese del Nord, alle pendici dei Pirenei, e dove i rapaci, forse, sono più numerosi degli abitanti. Il sole picchia forte, ma la temperatura, audite! audite! non supera i 24°. Fortezza Mora, conosciuta come al-Qasr, fu fatta erigere dallo sceicco Jalaf Ibn Rasid all'inizio del IX secolo, al disopra di uno sperone roccioso che domina la valle e i passaggi sottostanti. Fu riconquistata dai cristiani nel 1083, e, sui resti della fortezza musulmana, fu costruita la Colegiata de Santa Maria la Mayor. Sebbene la gran parte di questa sia del XVI secolo, restano ancora oggi interessanti elementi romanici, tra i quali il doppio colonnato del chiostro, le cui colonne sono scolpite con alcune scene del Vecchio Testamento; non da meno gli affreschi. Dopo una buona e succulenta cena dai sapori autoctoni, mentre usciamo dal borgo, veniamo coinvolti dalle tante feste estive di paese, e ci gustiamo un live tutto aragonese che se non altro ci aiuta ad "assimilare" quanto ingurgitato. Ci aspettano ancora 130 km prima di arrivare al campo base di Saragozza (Capitolo 1). (Avviso: i non residenti devono lasciare l'auto in un defilato parcheggio sovrastante la collina di fronte. Tenetene conto quando andate via e conservatevi un po' di energie per la risalita).


















MONASTERO DI VERUELA
Capitolo 3 Paragrafo 1
Situato in una zona tale da sembrare un brullo paesaggio di Marte, quasi al pendici del Parque Natural del Moncayo, il Monasterio de Veruela fu il primo dell’ordine cistercense stabilito nel regno aragonese nel 1145. Come molti centri di culto della cristianità, specialmente nel periodo della Reconquista spagnola, anche questo nasce da una leggenda. Sembrerebbe che un certo Don Pedro Atares, signore della vicina Borja, in un giorno del 1141 mentre era a caccia di cervi, fu preso da un violento temporale, e invocò l’aiuto della Vergine Maria per proteggersi. Grazie alle sue, immagino, insistenti preghiere, questa gli apparve in cielo, lo protesse e gli lasciò una sua piccola immagine su un albero di quercia, una sorta di biglietto da visita per ricontattarla qualora ne avesse ancora bisogno. Chiaramente l’aiuto non fu gratuito: la stessa Vergine chiese (meglio: impose) al pavido e tremante (e diciamolo pure, fesso) Don Pedro, di erigere un monastero in suo onore. Detto fatto! Senza bandi di concorso. Ed è così che vogliono farci credere circa le sue origini. Leggenda o meno, sta di fatto che il complesso è davvero bello e suggestivo nel suo complesso, con un mixing architettonico che va dal romanico al rinascimentale (il loggiato interno) passando per il gotico. Nella chiesa e nella sala capitolare (tra l’altro bellissima con tutti i suoi colonnati) trovano posto le tombe di reali Aragonesi e di abati importanti per il Monastero, quali il sepolcro dell’abate Lope Marco, fatto in alabastro. (A dispetto delle foto presenti nelle pubblicazioni, trovo sconvolgente il fatto che siano state fatte con l’uso del flash, eliminando terribilmente il gioco di luce e colori del sepolcro. De gustibus…). Non meno interessante il chiostro che racchiude un giardino dove sono presenti imponenti alberi di pino, che rubano tutta la luce possibile. Ma qui l’ombra e il fresco sono preziosi quanto l’acqua. Finiamo la visita e partiamo per la prossima tappa, che vi svelerò nel paragrafo successivo.
Pax Vobiscum





















TARAZONA
Capitolo 3 Paragrafo 2
Dopo aver visitato Veruela ci trasferiamo nella vicina Tarazona (Turiasum). A dire il vero, dopo averla inserita nel mio itinerario nella prima stesura, decisi successivamente di escluderla. Verificate le condizioni cronologiche (prossime all’ora di pranzo) e di posizione dal monastero, ho fatto un ulteriore cambio di programma al volo. E meno male, perchè i fatti hanno dato ragione alla repentina scelta. Questa città, come del resto i molti posti visitati, è sconosciuta a molti, poco gettonata nei percorsi turistici: non c'è mare, poco divertimento, posizionata in un catino rovente e con un ambiente circostante forse più desolante del Syrtis Major Planum. Eppure conserva molto della storia ispanica, un piccolo forziere di stratificazioni storiche e testimonianze. Popolata inizialmente da Celti-iberici, posseduta e "rinnovata" dagli immancabili romani; in decadenza con lo sfaldamento dell'Impero Romano; fortezza importante sotto i Visigoti e successiva rinascita sotto i musulmani, in realtà si sviluppo' fortemente con l'insediamento di ebrei, musulmani e cristiani: una integrazione perfetta (e si vedono i risultati) che nemmeno trova riscontro nei nostri giorni. I regnanti aragonesi (che sto scoprendo se non tra i più illuminati almeno tra i meno oscuri di moltissimi altri reali d'Europa), fecero di tutto per garantire l'uguaglianza del loro popolo, proteggendolo dai continui "attacchi" dei re castigliani, che non vedevano l'ora di imporre la cristianità come unico segno di civiltà. Purtroppo la Castiglia era diventata potentissima sul territorio e i moderni governanti aragonesi dovettero cedere e con essi sparì il benessere e il diritto paritario di vita per gli ebrei e per i musulmani: conosciamo la storia. A seguito delle epurazioni, la città perse moltissimo dei suoi abitanti e con essi la cultura connessa. Fortunatamente ebbero il tempo di lasciare il segno. In particolare troviamo le testimonianze di un particolare stile architettonico chiamato Mudéjar, molto diffuso proprio in Aragona, dove gli ultimi architetti mori iniziarono a mescolare l'architettura islamica con influenze romaniche e gotiche. La cattedrale (chiusa!!!!) è la massima rappresentante di questo stile, con la sua straordinaria torre appunto in mattoni mudéjar. Iniziata nel XIII secolo, fu ultimata solo negli ultimi decenni del Cinquecento, (tanto, che fretta c'era!). La città vecchia con la sua più cospicua concentrazione di architettura mudéjar la troviamo nella parte alta, a ridosso di una sorta di poggio sopra il Rio Queiles, un rivolo d'acqua che non disseterebbe nemmeno un insetto, ma tant'è, esiste. La prospettiva che si presenta dai due ponti pedonali per attraversare il rio, è davvero d'effetto e ammirevole. Purtroppo ci siamo trovati a visitarla sotto la luce dura e implacabile del mezzogiorno iberico, togliendoci, ne sono certo, quello spettacolo mozzafiato che si sarebbe presentato al tramonto, irraggiata dal sole con una calda luce che avrebbe dato risalto al colore altrettanto caldo del mattone mudéjar. Non si può avere tutto dalla vita, e cerchiamo lo stesso di ottenere belle immagini. La torre che domina la città, e posta proprio nella parte più alta, appartiene alla Iglesia de Santa Maria Magdalena, anche questa una miscela di stili. Poco distante troviamo il Palazzo Episcopale, imponente per l'epoca, che fu anche ex residenza di governati musulmani e re aragonesi. Scendendo la città si incontra il centro del morerìa, o quartiere dei mori, e, nelle adiacenze verso la discesa, la juderia, o quartiere ebraico. Calle davvero tipiche e decisamente caratteristiche, davvero belle da passeggiare, dove in un certo senso si "respira" l'atmosfera dei fasti cittadini, e con un piccolo sforzo mentale è possibile immaginarsele percorse da mori, giudei e cristiani nelle loro quotidianità. Immancabile la Plaza de Toros, ma che qui ha una connotazione particolare. Un gruppo di cittadini, irritato dalla mancanza della corrida, sport nazionale, decise di costruire le proprie case disponendole in forma ottagonale, dando forma all'arena e pronta per ospitare le corride. Suggestivi i balconi che si affacciano direttamente sulla Plaza de Toros e il colpo d'occhio è altrettanto d'effetto (peccato per gli spalti temporanei pronti per ospitare le feste estive). Dall’ Ayuntamiento (Municipio), insolito e attraente edificio adornato con le fatiche di Ercole, ogni 27 agosto cerca di uscire il buffone El Cipotegato, bersagliato dalla scarica di pomodori lanciati dalla popolazione: lontanamente simile alla nostrana battaglia delle arance. Ci concediamo un bel pranzo ristoratore in un altrettanto bel (narrano sia il mas) ristorante, dove carichiamo le batterie, nostre e delle fotocamere. Intanto fuori il sole cuoce, vediamo sempre meno persone, ma dobbiamo sforzarci a uscire per il prossimo paragrafo.




















JURASSIC PARK
Capitolo 3 Paragrafo 3
Come anticipato nel paragrafo precedente, lasciamo Tarazona sotto un sole cocente e, sempre sotto lo stesso sole, risaliamo verso la confinante regione de LA RIOJA. Questa è forse la più piccola delle regioni spagnole e la meno popolata, incastrata tra la Navarra, l’Aragona, la Castiglia-Leon e i Paesi Baschi. Poca gente, ma tanti vigneti. Un vino “tinto” forte e potente, aspro come il territorio, ma ricercato e di notevole qualità. E non poteva essere altrimenti sotto questo cielo così limpido, pochissimo umido, caldissimo di giorno e fresco asciutto di notte. Moltissime le Bodegas dove poter assaggiare e provare i prodotti, molto simile alle nostre cantine delle Langhe, del Monferrato e via discorrendo. Ma non è per questo motivo che siamo qui, seppure meritevole. In vaste aree intorno a Enciso, nella zona di confine con la Castiglia, sono stati ritrovati molti resti paleontologici, al punto da meritarsi il nome di Jurassic Park Spagnola. E a ben guardare il territorio lungo la LR123 la LR283 e la LR286 che porta a Enciso, sembra di essere nel giurassico, aspettandosi, che so, uno pterodattilo piuttosto che un diplodoco o un branchiosauro, spuntare dalla curva successiva. Dopo salite e discese, curve e tornanti, strade dritte fatte col righello e paesi da far west (Cervera), arriviamo al Yacimiento de Valdecevillo, a due passi da Enciso (dove è stato costruito un parco giochi a tema, davvero bello ed educativo per i ragazzi, e non). Sono le 1730, praticamente non c’è anima viva. Risaliamo lo sterrato che fiancheggia quello che qualche milione di anni fa fu una zona di passaggio e di raccolta di molte specie di dinosauri, lasciando molte tracce, ben evidenti e contrassegnate. Era nostra intenzione fare tutto l’anello come mostrato nell’insegna all’ingresso del parco, ma non abbiamo fatto i conti col sole: nonostante l’ora ci è bastata quell’oretta di camminata per rosolarci, scottarci (leggermente per fortuna) e ritornare sui nostri passi. Incredibile la velocità con cui tutto questo è avvenuto, e ancora oggi, a quasi due mesi di distanza, è rimasto presente il segno di quella abbronzatura. Scappiamo verso sud, sulla LR115 prima e la SO615 poi, in un continuo alternarsi di vallate e di colline, di vegetazione e di deserto, di qualcosa e di nulla. Oltrepassiamo Yanguas (la tranquillissima Yanguas posta in una vallata al riparo dal caldo), e il Barranco di Fuentesalvo, dove ci fermiamo per ammirare il panorama e visitare un altro sito paleontologico (abbiamo visto le indicazioni di moltissimi altri). La SO615 è una strada a dir poco panoramica, che permette di vedere paesaggi meravigliosi, dove non mancano il sole, il vento e le pale eoliche, ma manca il traffico: le auto le possiamo contare con una mano. Troviamo una piazzola con annessa e ben indicata da cartelli stradali, una fontana. Siamo in alto, non c’è segno di abitanti, non ci sono divieti, è sicuramente buona. È confermato visto che lo sto raccontando. Una breve sosta e comincia la discesa verso la Castlla-Leon. (PS: il vino di qui, bevetelo leggermente fresco e possibilmente la sera, perchè dopo un po' vi accorgerete di non avere più le gambe).



















NUMANCIA
Capitolo 3 Paragrafo 4
Scolliniamo lungo la SO615, accompagnati dalle immancabili pale eoliche che fanno da merletto al paesaggio, e scendiamo nella Castilla y Leon verso la città di Soria, che saltiamo dall’itinerario, anzi, non ci arriviamo nemmeno, perché l'intento è raggiungere il vecchio e importante sito romano di Numantia, prima che questo chiuda. (Riusciremo a farci concedere giusto 15 minuti, e per questo ci riducono il costo dell’ingresso, sebbene già irrisorio). Qui Il paesaggio cambia; vediamo una maggiore attività dell’uomo, agricola in particolare, con immense coltivazioni di girasole. Ne approfittiamo per l’ennesimo stop and go fotografico. Man mano che ci avviciniamo, il paesaggio si trasforma nuovamente, tornando a essere incredibilmente aspro e desolante (ma attraente), finché non arriviamo a Numancia. Città celtiberica vicina all'attuale Soria, è posta su un altopiano alla confluenza del fiume Tera col Duero, a circa 1.087 mslm, sul poggio della Muela de Garray. In mezzo al nulla venne creata e abitata già dai Preiberi, poi dai celtici Peleudoni e Almeriani. Nell'anno 153 a.C. l’esercito numantino, sotto la guida di un certo Segeda Caro, riuscì a battere l’esercito romano di 30.000 soldati guidati dal console Quinto Fulvio Nobiliore. Venne conquistata dalle truppe di Scipione Emiliano nel 133 a.C. dopo nove mesi di assedio, al termine di una eroica lotta, mettendola letteralmente a ferro e fuoco. ll bellum numantinum acquista particolare importanza perché segna l’affermarsi dell'egemonia romana nell'Hispania centro-settentrionale e la definitiva pacificazione della massima parte della penisola iberica. Tra le pitture, esiste un bellissimo dipinto di Alejo Vera Estaca: La fine di Numanzia, visibile presso il Museo del Prado. Quello qui presentato è ciò che è rimasto della città romana costruita al disopra di quella celtiberica, i cui scavi continuano tutt’ora. La casa numantina era di pianta rettangolare e di povera costruzione (muratura e fango per le pareti; terra e rami per le coperture), e segnò la transizione tra la capanna di pastori e l'abitazione cittadina. Una cinta fortificata, di larghezza variabile tra 1,5 e 6 metri (a seconda della vulnerabilità del luogo), difendeva la città. I sorveglianti ci richiamano per l'uscita. Sono circa le 19:45, e dobbiamo raggiungere la prossima tappa, dove abbiamo pernottato per la notte, a circa 60 km da qui.













BERLANGA DE DUERO
Capitolo 3 Paragrafo 5
Finalmente arrivati… nel bel mezzo di una festa d’epoca! E’ così che ci accoglie questo paese, unico segno di vita in mezzo a un paesaggio silenziosissimo. Raggiungiamo, non senza difficoltà per la festa, l’albergo, recente e davvero confortevole per il luogo. Maestoso, domina la cittadina il suo Castello, una fortezza, come dire, fortificata. Concedetemi una piccola lezione di storia. L'occupazione di questa zona risale ai tempi preistorici, con evidenze archeologiche dell'esistenza di una popolazione in epoca romana, in cui Berlanga potrebbe essere conosciuta come Valeránica, secondo quanto testimoniato dall'Arcivescovo di Toledo, Jiménez de Rada, nella sua cronaca De Rebus Hispaniae, ma ancora oggetto di dibattito. Berlanga è situata geograficamente al centro della zona di confine, tra i regni cristiani e musulmani, e cronologicamente in mezzo alla riconquista. È in questo periodo di conflitti dove troviamo le origini del castello medievale. L'origine non è chiara, circa intorno ai secoli X-XI, e nasce come una fortezza islamica, i cui resti sono poco visibili, al confine con i regni cristiani. Nel 1059 Fernando I di Castiglia, in una rapida campagna militare nell'Alto Duero, riuscì a sottrarre Berlanga dalle mani musulmane, portando le prime opere di riparazione e di ristrutturazione del castello. Consolidata la sua presa, cominciò a svilupparsi, anche grazie al suo popolamento da parte di genti provenienti dalle varie zone della Spagna. Terra di confine e corridoio verso l’Aragona (in pratica quello che noi abbiamo percorso provenendo da Saragozza), di passaggio verso il vicino “Eremita de San Baudelio”, fu contesa da varie fazioni, fino ad entrare in possesso della famiglia Tovar. Dopo la morte di Luis de Tovar, la sua unica figlia Maria de Tovar ereditò tutto, e con lei si svolsero i grandi cambiamenti che hanno trasformato tutta la città di Berlanga, compreso il castello a cui ha dato l'aspetto che ha oggi. Nel 1521-1522 Maria de Tovar e Íñigo Fernández de Velasco iniziarono la costruzione di una nuova fortezza intorno all'antico castello medievale, che avevano previsto di demolire, in grado di sopportare il fuoco dell'artiglieria. Il nuovo marchese de Berlanga, Juan de Tovar, decise di bloccare le opere della nuova fortezza che i suoi genitori avevano cominciato anni prima, conservando l'antico castello medievale, circondato ora dalla nuova fortezza artiglieria senza pretese e quindi incompiuto. Durante i secoli XVI e XVII perse le sue funzioni militari, assumendo quelle di carcere, archivio o arsenale. Dalla fine del XVII secolo cominciò il suo declino, tra saccheggi e smantellamenti. L’apice della distruzione avvenne a causa dell’incendio del 20 aprile 1660, fino al punto che rimarranno solo le sue mura. All'inizio del XXI secolo, il Comune di Berlanga de Duero ha acquisito tutto il complesso (castello, mura, palazzo e giardini), iniziando così il consolidamento, il restauro e la valorizzazione di questo magnifico monumento. Ce lo fotografiamo prima nella “Golden Hour”, e poi sotto una stupenda “Luce Blu”, spettacolarizzando l’intero complesso: con quel cielo così terso non poteva essere diversamente, considerando che siamo a quasi mille metri sul livello del mare. Atmosfera davvero piacevole, fresca al punto giusto, da farci dimenticare il caldo torrido accumulato durante il giorno. Nonostante il tour de force di oggi, abbiamo ancora le energie per trascorrere la serata inoltrata nel pieno della fiesta. E con questo si chiude la giornata, iniziata alle 8 di mattina partendo da Saragozza, visitando Veruela (Par. 1); Tarazona (Par. 2); il Jurassic Park di Enciso (Par. 3); le rovine di Numancia (Par 4) e terminare qui a Berlanga: tappa di 300km. Intanto il cielo diventa nero pece, la stanchezza ci assale e l'albergo ci attende. A domani!













ERMITA DE SAN BAUDELIO
Capitolo 4 Paragrafo 1
Ci svegliamo alla buon ora, ma non troppo, per affrontare un nuovo capitolo, la tappa odierna. Abbondante colazione, preparazione del necessaire, e via per la prima meta di oggi: l’ Ermita De San Baudelio. Dall’esterno, sembra una casetta insignificante, deludente, un riparo per mandriani. Ma… L'eremo è una cappella in stile moresco spagnolo. Si tratta di un monumento di grande interesse sia per la sua architettura che per i suoi dipinti romanici, una singolarità eccezionale, a tal punto da meritarsi l’appellativo di "Cappella Sistina" dell'arte moresca. Purtroppo, nel corso della storia, alcuni dipinti murali sono stati trafugati, oggi in mostra presso vari musei americani, e presso El Prado di Madrid. La sua posizione di confine nella “terra di nessuno” tra cristiani e musulmani, può giustificare la miscela di influenze architettoniche. All'esterno è posta una necropoli rocciosa con varie tombe antropomorfe, approssimativamente scolpite, coperte da lastre. La costruzione dell'eremo risale al momento del consolidamento definitivo dei regni cristiani in questa zona, che si è svolta intorno al 1060 (ricordate la conquista di Berlanga, descritta nel capitolo precedente?). Nulla è noto circa la sua origine, anche se ci sono notizie documentate dal 1136 in cui la giurisdizione dell'eremo è stata trasferita alla diocesi di Sigüenza. Secondo la tradizione, questo edificio doveva essere dedicato all’invocazione di San Baudelio, martire gallo-romano del IV secolo. Sembra che già circolavano alcune reliquie, provenienti da Nîmes e da luoghi diversi del territorio ispano-visigota, raccolte a Toledo. Le reliquie, con l’invasione islamica, vennero trasferite da Toledo alle Asturie e a Navarra, e probabilmente alcune di queste potrebbero essere state depositate temporaneamente in questo luogo. L'eremo è accessibile da una piccola porta con arco a ferro di cavallo (stile mozarabico). La volta è formata da otto archi rialzati supportati da mensole collocate sulle pareti della navata, nei quattro angoli e sulle quattro pareti stesse, partendo da un robusto pilastro centrale, a guisa di foglie di palma, fortemente influenzato dalle forme architettoniche islamiche di Al-Andalus. Sopra questo pilastro centrale si apre una camera, piccola e inaccessibile, che funge da lanterna: si pensa trattasi di un ostensorio che potrebbe aver accolto una reliquia, forse proprio di San Baudelio, o forse di testi sacri. Nell'abside c'è un piccolo altare in pietra ed è decorato con dipinti di San Baudelio e San Nicola su entrambi i lati della finestra, e lo Spirito Santo, invertito, al centro. Il colonnato degli archi a ferro di cavallo ospita l'accesso alle grotte dell'eremita scavata nella roccia che forse ha dato origine alla congregazione monastica. L'arredamento è eccezionale, non essendo stato usato il legno, e basato quindi interamente su decorazioni pittoriche, fatte a tempera su un intonaco che copre completamente l'interno. I dipinti sono tra i più antichi esempi di pittura romanica del paese, di sorprendente fattura, e uniscono temi religiosi con quelli secolari, ispirati sicuramente alle ceramiche e agli avori del Califfato di Cordova. Nell'abside troviamo dipinti di San Nicola di Bari (santo “europeo”, lo si trova ovunque, da nord a sud, da est a ovest… come me!) e San Baudelio, su entrambi i lati della colomba dello Spirito Santo; nel centro una palma. Tra altri personaggi e rappresentazioni troviamo: scene di caccia, un guerriero, un falconiere, un elefante che trasporta un castello con tre torri, un dromedario, un orso, cani rampanti, bovini, le tre Marie al sepolcro, la guarigione del cieco, la resurrezione di Lazzaro, il matrimonio di Canna, le tentazioni di Gesù, l'ingresso di Gesù a Gerusalemme, l'Ultima Cena, episodi della Passione, aquile con le ali spiegate, un ibis, Caino e Abele, una luna semicircolare irradia una croce greca e sulla quale si proiettano due angeli, ecc. Spettacolare posto, merita assolutamente la visita e approfondirne la storia. Il sole comincia a picchiare; ci fermiamo nuovamente a Berlanga per fare altri scatti in diurna, con il magnifico corollario dei campi di girasole.
















GORMAZ
Capitolo 4 Paragrafo 2
Ci lasciamo alle spalle Berlanga, la sua incredibile fortezza e il gioiellino dell’Ermita de San Baudelio.
La mattinata, limpidissima, è davvero piacevole, da ustione se esposti direttamente al sole, ma freschi e asciutti all’ombra. Percorriamo le solite strade secondarie, gustandoci il paesaggio incredibile che man mano scorre sul nostro parabrezza. Ma pure sui finestrini laterali. Attraverso agli onnipresenti campi di girasole arriviamo a Gormaz, prima tappa di oggi. Imponente, si staglia subito il suo castello, il più grande per la sua epoca: 1,2 km di lunghezza e 446 m di larghezza! Per non parlare della stupefacente vista che si gode da qui, per noi, adesso, di piacere, mentre per i soldati di allora, di indiscutibile utilità militare: guardate anche voi fin dove spazia l’occhio. Ma andiamo con ordine. Innanzi tutto, di turisti, pochissimi: non sgomiterete certamente per entrare. Questo, come molti altri monumenti visti, è letteralmente ignorato dalla stragrande maggioranza delle persone. Eppure da qui, da queste zone, è passata una fase cruciale della storia europea; un passo falso, una battaglia persa e oggi, forse, parleremmo un’altra lingua. Di origine musulmana, ben identificabile dalla porta di ingresso, la costruzione fu iniziata nel IX secolo, durante il Califfato di Cordoba sui resti di un antico castello di origine cristiana o musulmana. Il forte fu conquistato dai cristiani nel 912, ma tornò nelle mani musulmane durante il califfato di Alhakén II che ordinò al generale Galib la sua estensione, un compito che fu intrapreso tra il 955 e il 966. Il castello di Gormaz divenne così una pietra miliare della difesa musulmana contro i regni cristiani settentrionali, tenendoli lontani da Medinaceli. Come anticipato, la sua posizione permise di controllare una delle rotte di accesso a nord e il fiume Duero, in quella che fu una zona strategica, tra la più ambita dai musulmani e dai cristiani durante il IX e il X sec. Nel 975 il conte García Fernández, alleato con Sancho de Pamplona e Ramiro III di Leon, assediò il castello, ma, attaccato dall'esercito al comando di Galib, patì una sconfitta umiliante. Ci riprovò nel 978, questa volta con successo, riuscendo a tenerlo fino al 983, quando ritornò nuovamente in mano musulmana fino alla definitiva conquista dei cristiani nel 1060 con Fernando I di Leon. Il celebre El Cid, Rodrigo Diaz de Vivar, fu signore di Gormaz dal 1087: è da questo momento che nacque la città di Gormaz (e secondo me mai più sviluppata, visti i suoi attuali 20 - dico: venti - abitanti), ai piedi del castello. Nel corso degli anni a venire perse la sua importanza strategica; fu successivamente utilizzato come prigione fino al suo abbandono finale. Ma in questo nulla c’è un altro tesoro: L'eremo di San Miguel de Gormaz. Situato sul pendio della famosa fortezza, è passato in pochi anni dall’anonimato fino a diventare un patrimonio rinomato. Tutto ciò grazie alla scoperta di una magnifica serie di affreschi romanici. Si tratta di un edificio che viene considerato come pre-romanico (altri la definiscono come mozáraba), costruito in una data successiva ma prossima all'anno 1060, quando Fernando I conquista la fortezza di Gormaz (vedere su). Internamente, ci sono molte similitudini con l’eremo precedentemente visitato di San Baudelio, come il pavimento su roccia nella quale è posta una cavità di forma quasi rettangolare - con gli angoli arrotondati - interpretata come fonte battesimale per immersione. È curiosa la sensazione di entrare in un luogo, dove, dall'esterno sembra piccolo, mentre una volta dentro si rimane sorpresi dallo spazio. Purtroppo le pitture della parte inferiore sono state completamente perse, ma è ancora possibile immaginare delle rappresentazioni di cortigiani, medaglioni con animali, ecc. come quelli presenti nella chiesa di Santa María de Taüll sui Pirenei. Sulla parete settentrionale della navata si possono vedere scene del Ciclo della Natività: Annunciazione, Visitazione, Annunciazione ai Pastori e Nascita. Nella Natività, la Vergine giace in posizione diagonale - in modo bizantino - circondata da una sorta di “archi” che assomigliano a rocce; il Bambino è sulla sua destra, dentro un rettangolo rosso che funge da culla. Nella parte inferiore si vede un combattimento tra cavalieri. Sulla parete meridionale, in alto, si possono osservare i tre Magi a cavallo mentre si dirigono al palazzo di Erode. Nella parte in basso, è presente la spettacolare rappresentazione della Pesatura delle Anime (Psicostasi. Pensate, questo rito risale sin dall’antico Egitto, a cui si riferiscono molte simbologie pagane prima e cristiane poi, passando per l’ebraismo), con San Michele e un diavolo accanto alla bilancia. A sinistra di San Michele, i giusti riposano in pace eterna nel petto di Abramo. Le anime dei salvati appaiono come piccole teste sotto la protezione di Abramo, Isacco e Giacobbe. Il paradiso è rappresentato da un luogo pieno di alberi (albero della vita) e da una torretta, forse come idea della Gerusalemme celeste. All’opposto, sul lato destro, troviamo i condannati, accanto al demone che pesava le anime. Qui l'inferno è rappresentato da un grande serpente a due teste che divora due persone; bestie demoniache le si trovano ovunque, che torturano e mordono le altre anime dei condannati. Sulla volta c'è il dipinto di un grande Maiestas Domini, incastonato in una mandorla, e a sua volta circondato da numerosi personaggi alati che raffiguranti i quattro evangelisti e gli arcangeli San Michelele e San Gabriele, oltre ad altri; i ventiquattro Anziani dell'Apocalisse sono rappresentati sulle pareti inferiori della testata. Interessanti sono i dipinti del vestibolo dell'abside, dato che l’iconografia e lo stile sono chiaramente in relazione con i dipinti di San Baudelio e la Vera Cruz di Maderuelo (segnato per il prossimo giro!). Illuminata, una colomba bianca, simbolo dello Spirito Santo. Davvero istruttiva la spiegazione della guida e di altre cose da raccontare ce ne sarebbero, ma dobbiamo necessariamente passare alla meta successiva di oggi. Mettiamo in moto l’auto e via!
La mattinata, limpidissima, è davvero piacevole, da ustione se esposti direttamente al sole, ma freschi e asciutti all’ombra. Percorriamo le solite strade secondarie, gustandoci il paesaggio incredibile che man mano scorre sul nostro parabrezza. Ma pure sui finestrini laterali. Attraverso agli onnipresenti campi di girasole arriviamo a Gormaz, prima tappa di oggi. Imponente, si staglia subito il suo castello, il più grande per la sua epoca: 1,2 km di lunghezza e 446 m di larghezza! Per non parlare della stupefacente vista che si gode da qui, per noi, adesso, di piacere, mentre per i soldati di allora, di indiscutibile utilità militare: guardate anche voi fin dove spazia l’occhio. Ma andiamo con ordine. Innanzi tutto, di turisti, pochissimi: non sgomiterete certamente per entrare. Questo, come molti altri monumenti visti, è letteralmente ignorato dalla stragrande maggioranza delle persone. Eppure da qui, da queste zone, è passata una fase cruciale della storia europea; un passo falso, una battaglia persa e oggi, forse, parleremmo un’altra lingua. Di origine musulmana, ben identificabile dalla porta di ingresso, la costruzione fu iniziata nel IX secolo, durante il Califfato di Cordoba sui resti di un antico castello di origine cristiana o musulmana. Il forte fu conquistato dai cristiani nel 912, ma tornò nelle mani musulmane durante il califfato di Alhakén II che ordinò al generale Galib la sua estensione, un compito che fu intrapreso tra il 955 e il 966. Il castello di Gormaz divenne così una pietra miliare della difesa musulmana contro i regni cristiani settentrionali, tenendoli lontani da Medinaceli. Come anticipato, la sua posizione permise di controllare una delle rotte di accesso a nord e il fiume Duero, in quella che fu una zona strategica, tra la più ambita dai musulmani e dai cristiani durante il IX e il X sec. Nel 975 il conte García Fernández, alleato con Sancho de Pamplona e Ramiro III di Leon, assediò il castello, ma, attaccato dall'esercito al comando di Galib, patì una sconfitta umiliante. Ci riprovò nel 978, questa volta con successo, riuscendo a tenerlo fino al 983, quando ritornò nuovamente in mano musulmana fino alla definitiva conquista dei cristiani nel 1060 con Fernando I di Leon. Il celebre El Cid, Rodrigo Diaz de Vivar, fu signore di Gormaz dal 1087: è da questo momento che nacque la città di Gormaz (e secondo me mai più sviluppata, visti i suoi attuali 20 - dico: venti - abitanti), ai piedi del castello. Nel corso degli anni a venire perse la sua importanza strategica; fu successivamente utilizzato come prigione fino al suo abbandono finale. Ma in questo nulla c’è un altro tesoro: L'eremo di San Miguel de Gormaz. Situato sul pendio della famosa fortezza, è passato in pochi anni dall’anonimato fino a diventare un patrimonio rinomato. Tutto ciò grazie alla scoperta di una magnifica serie di affreschi romanici. Si tratta di un edificio che viene considerato come pre-romanico (altri la definiscono come mozáraba), costruito in una data successiva ma prossima all'anno 1060, quando Fernando I conquista la fortezza di Gormaz (vedere su). Internamente, ci sono molte similitudini con l’eremo precedentemente visitato di San Baudelio, come il pavimento su roccia nella quale è posta una cavità di forma quasi rettangolare - con gli angoli arrotondati - interpretata come fonte battesimale per immersione. È curiosa la sensazione di entrare in un luogo, dove, dall'esterno sembra piccolo, mentre una volta dentro si rimane sorpresi dallo spazio. Purtroppo le pitture della parte inferiore sono state completamente perse, ma è ancora possibile immaginare delle rappresentazioni di cortigiani, medaglioni con animali, ecc. come quelli presenti nella chiesa di Santa María de Taüll sui Pirenei. Sulla parete settentrionale della navata si possono vedere scene del Ciclo della Natività: Annunciazione, Visitazione, Annunciazione ai Pastori e Nascita. Nella Natività, la Vergine giace in posizione diagonale - in modo bizantino - circondata da una sorta di “archi” che assomigliano a rocce; il Bambino è sulla sua destra, dentro un rettangolo rosso che funge da culla. Nella parte inferiore si vede un combattimento tra cavalieri. Sulla parete meridionale, in alto, si possono osservare i tre Magi a cavallo mentre si dirigono al palazzo di Erode. Nella parte in basso, è presente la spettacolare rappresentazione della Pesatura delle Anime (Psicostasi. Pensate, questo rito risale sin dall’antico Egitto, a cui si riferiscono molte simbologie pagane prima e cristiane poi, passando per l’ebraismo), con San Michele e un diavolo accanto alla bilancia. A sinistra di San Michele, i giusti riposano in pace eterna nel petto di Abramo. Le anime dei salvati appaiono come piccole teste sotto la protezione di Abramo, Isacco e Giacobbe. Il paradiso è rappresentato da un luogo pieno di alberi (albero della vita) e da una torretta, forse come idea della Gerusalemme celeste. All’opposto, sul lato destro, troviamo i condannati, accanto al demone che pesava le anime. Qui l'inferno è rappresentato da un grande serpente a due teste che divora due persone; bestie demoniache le si trovano ovunque, che torturano e mordono le altre anime dei condannati. Sulla volta c'è il dipinto di un grande Maiestas Domini, incastonato in una mandorla, e a sua volta circondato da numerosi personaggi alati che raffiguranti i quattro evangelisti e gli arcangeli San Michelele e San Gabriele, oltre ad altri; i ventiquattro Anziani dell'Apocalisse sono rappresentati sulle pareti inferiori della testata. Interessanti sono i dipinti del vestibolo dell'abside, dato che l’iconografia e lo stile sono chiaramente in relazione con i dipinti di San Baudelio e la Vera Cruz di Maderuelo (segnato per il prossimo giro!). Illuminata, una colomba bianca, simbolo dello Spirito Santo. Davvero istruttiva la spiegazione della guida e di altre cose da raccontare ce ne sarebbero, ma dobbiamo necessariamente passare alla meta successiva di oggi. Mettiamo in moto l’auto e via!




















EL BURGO DE OSMA
Capitolo 4 Paragrafo 3
El Burgo de Osma, tappa intermedia, la “catturiamo” per caso, mentre, fermandoci a uno stop, scopriamo che si trova a pochi chilometri da questo punto: si gira a destra. Abitata sin dall'età del ferro, dal VI al II secolo a.C. i celtoiberi Arevacos si stanziarono ad Uxama, a circa 1 km dell'attuale Burgo de Osma. I Romani occuparono Uxama e vi si stabilirono facendone uno dei centri più importanti della provincia Tarraconensis, (una delle tre province in cui divisero la Spagna). Con la caduta dell'Impero, furono sostituiti dai cristianizzati Visigoti che la chiamarono Oxama, e dove fondarono la diocesi, una delle prime di Spagna. Con l'occupazione degli arabi perse la sua funzione, per riprenderla dopo la Reconquista grazie al vescovo San Pedro de Osma, la cui presenza, assieme alla crescente comunità religiosa e vescovile, diede impulso allo sviluppo della città. Nel 1101 venne costruita la prima cattedrale romanica sopra i resti di un monastero visigoto, e la cattedrale gotica che la sostituì nel XIII secolo divenne il centro attorno al quale si sviluppò l'abitato. Gli Annales narrano di una vigile sentinella che dalle mura di cinta quasi cambiò il corso della storia, scagliando un macigno a un'ombra avvistata nella notte nel 1469: per poco non è riuscito a uccidere il giovane principe Fernando, che si affrettava di notte a sposare di nascosto lsabella a Valladolid. La cattedrale, dedicata all’Assunzione di Maria, fu iniziata nel XIII secolo, ma fu purtroppo tormentata da successivi architetti che aggiunsero cappelle su cappelle, con stili differenti, al centro e nella navata di destra, e una discutibile appendice che ospita la Sacrestia. Gli interni sono riccamente decorati; il retablo un'ottima opera di Juan de Juni. La visita guidata conduce al chiostro e al museo: molti sono i manoscritti conservati, e tra questi una copia del Codice del Beato de Liébana (segnatevi questo nome!) risalente al 1086, descritto come "uno dei più bei libri della terra". Nella cripta è presente l’interessante tomba di San Pedro de Osma, che ha eretto l'edificio romanico. Un succulento e gustosissimo pranzo a base di tapas ci attende nella bella piazza antistante, animata da gente allegra ma non fastidiosamente chiassosa o invadente. Arrivederci alla prossima tappa, l’ultima di oggi: comincia ad arrivare il bello!














SEGOVIA 1
Capitolo 4 Paragrafo 4
Segovia! Campo base per i prossimi 3 giorni, e meta della giornata odierna, iniziata 170km fa da San Baudelio (Paragrafo 1). Ci sarebbe tantissimo da dire: da dove comincio? Raggiungiamo questa bellissima cittadina nel caldo pomeriggio inoltrato, ci portiamo direttamente in albergo, e sbrighiamo velocemente il check-in. Una disponibilissima receptionist (sono tutte donne!!) ci illustra nel dettaglio cosa vedere, dove mangiare, dove bere: facciamo tesoro dei suoi consigli sebbene abbia già in mente il mio “giro”. Trovo molto interessante il suo invito ad assistere ad una sorta di corsa dei tori (una pallida similitudine con la più rinomata corsa di Pamplona), che si terrà nel quartiere vicinissimo all’albergo: vedremo. (In cuor mio spero solo di non dover sentire schiamazzi e atti euforici notturni: vorremmo riposare in pace). Ci attrezziamo per la bisogna e cominciamo a esplorare la città. Sebbene l’ora, 1830, il caldo ci sfianca e madidi di sudore saliamo verso la città vecchia, posta ben in alto rispetto al restante e moderno centro cittadino. Fiancheggiamo l’edificio (antico e bello) della moderna IE UNIVERSITY, college di studi universitari all’avanguardia, e da lì passiamo sotto le mura di cinta della città vecchia. Man mano si apre il sipario mostrandoci la città, o meglio, una parte di essa, da cui ci facciamo un’idea “geografica” della stessa. Seguiamo il tracciato definito dalla brunetta receptionist per raggiungere la onnipresente Plaza Major, attraversando bellissime “calle” ma altrettanto ripide. Su questa piazza domina, su un lato, la bellissima cattedrale, che, a primo acchito, mi sembrava una porzione del Palazzo dei Papi di Avignone. I porticati e i dehor che contornano la piazza sono colmi di turisti e di abitanti, intenti a consumare aperitivi, tapas, pizze, birre e chissà quant’altro ben di Dio. Questo non fa altro che svegliare il nostro stomaco, e come di incanto aumenta la salivazione e sentiamo buche profonde dentro di noi; il caldo e la stanchezza del viaggio, certamente danno una spinta a questi richiami. Ma prima di cedere, decidiamo di continuare la visita e perlustrare un po’ i locali, così ci facciamo una idea sugli “usi e costumi” gastronomici. Passiamo accanto alla Iglesia de San Miguel, nota per essere stata la chiesa dove fu proclamata regina Isabella di Castiglia la Cattolica il 13 dicembre del 1474, come riporta l’effige sul muro. Interessante la gotica volta a crociere interna, di ragguardevole altezza. Lasciando la Calle de la Infanta Isabel, prendiamo la Calle Juan Bravo, dove incontriamo il bellissimo complesso della Iglesia de San Martin, tempio di origine Mozarabico con stile romanico. Notevoli sono la torre del campanile, in stile romanico-mudejar, e la sua galleria porticata, che circonda tutta la chiesa, con archi che poggiano sulle colonne con capitelli romanici. Bellissimo lo scorcio che si ammira verso la cattedrale. Ci troviamo nella adiacente Plaza de Medina del Campo, dove trovano posto molti locali caratteristici, tra i quali uno di quelli consigliati sempre dalla brunetta di cui sopra. Ci concediamo la meritata cena e quel relax necessario per chiudere la serata. Continuiamo a percorrere Calle Juan Bravo e, leggermente all’interno, troviamo il Palacio del Conde Alpuende, costruito da Alonso Cascales, datato nel XV secolo, e conosciuto anche come Casa de Azpiroz o Palacio de Cascales. Collocato nella Morería, è un palazzo in stile moresco che tuttora conserva alcuni dei suoi elementi caratteristici, mentre la facciata è un esempio di graffiato segoviano, elemento abbastanza comune nelle facciate della città, eredità di stile mudéjar lasciata a noi dai musulmani. La calle scende verso la piazza sottostante, e lì ci appare questa meravigliosa vestigia romana: l’ACQUEDOTTO ROMANO. Maestoso, imponente, taglia una parte della città per recuperare 728 metri di viadotto con un dislivello dell’1%. Come l’hanno calcolato senza un Mac o un Pc? Avessero avuto già solo un Commodore Vic 20, non oso immaginare alle opere di ingegneria che avrebbero potuto fare. Non è certa la sua data di costruzione, posta tra la seconda metà del primo secolo d.C. ed i primi anni del secondo secolo, durante il regno dell'imperatore Vespasiano o in quello di Nerva. L'acquedotto trasporta acqua dalla sorgente della Fuenfría, situata nelle montagne vicine, La Acebeda, a 17 chilometri dalla città. Meraviglioso il panorama che si gode lungo tutto lo sviluppo dello stesso, magnificamente accentuato dalla luce blu prodotta da questo cielo cristallino. Scendiamo verso il quartiere dell’albergo da un’altra via, per finire direttamente (ce ne eravamo scordati!) nella festa della corsa dei tori. Ci avviciniamo anche noi, e ci mettiamo proprio a ridosso della transenna per vedere come si svolge dal vivo. Prendiamo informazioni da alcuni spettatori, i quali ci assicurano che non viene maltrattato, e tantomeno ucciso, alcun animale. È incredibile l’entusiasmo atavico degli spagnoli per questo tipo di manifestazione. Velocemente passano i partecipanti con i tori al seguito, nemmeno il tempo di realizzare l’evento, ma riusciamo ugualmente a fare degli scatti. Tutti abbandonano la piazza del quartiere per dirigersi nella sottostante Plaza de Toros, dove assistiamo a una mini corrida, in totale tranquillità e sicurezza per tutti: uomini e animali. La banda al seguito incita i tori e i toreri a fare la loro parte per non annoiare il pubblico. E in effetti non ci si annoia. Il divertimento è garantito e il pubblico decisamente tranquillo e composto. Tutto sommato una esperienza positiva. Ormai è tardi e le membra reclamano il loro meritato riposo. Raggiungiamo il vicino albergo, spegniamo le luci e buonanotte a tutti. A domani!




































AVILA
Capitolo 5 Paragrafo 1
La prima tappa dell’itinerario di oggi è Avila, famosa per aver dato i natali alla santa Teresa, al secolo Teresa Sánchez de Cepeda Dávila y Ahumada (28 marzo 1515 – Alba de Tormes, 4 ottobre 1582), patrona degli scrittori oltre che di Spagna e di Croazia. A 1.131 metri sul livello del mare, Ávila de los Caballeros ("dei Cavalieri") è il capoluogo più alto della Spagna, con inverni rigidi ed estati calde ma asciutte: zero afa! Il centro della città è circondato da mura medievali magistralmente conservate, le migliori in Europa. La vista più spettacolare delle mura è da Los Cuatro Postes, (Quattro posti) sulla strada per Salamanca: non poteva mancare la nostra panoramica, un colpo d’occhio notevole e suggestivo dell’architettura militare del tempo. Costruite nel XII secolo, le pareti sono lunghe più di 2 km, intervallate da 88 robuste torrette, su cui si possono vedere le cicogne nidificare in stagione. Il terreno scende ripido dalle pareti su tre lati, rendendo la città praticamente inespugnabile. Il lato orientale, però, è relativamente piatto e pertanto ha dovuto essere fortificato più pesantemente. Le sezioni più antiche del muro sono qui, di cui, la Puerta de San Vicente, rappresenta il più imponente ingresso dei nove presenti. L'abside della cattedrale, anch’essa, fa parte delle mura di cinta. La Cattedrale del Cristo Salvatore è quasi una fortezza (incompiuta) oltre che un tempio, iniziata nel 1091 sui resti della vecchia chiesa del Cristo Salvatore, caduta in rovina a causa degli attacchi dei musulmani. L'interno, una miscela di stili gotici e romanici, con pianta a croce latina, è a tre navate, di cui la centrale più alta. La parte più antica è, invece, distinguibile per l'uso di una pietra locale a macchie rosse. Il Retablo è uno dei capolavori della pittura di Avila, iniziato nel 1499 dal pittore Pedro Berruguete Palencia, dando l’impostazione generale e realizzando il corpo inferiore o predella, in cui sono rappresentati i quattro dottori della Chiesa e gli evangelisti. Da sinistra a destra, San Gregorio, San Girolamo, San Luca, San Giovanni, San Matteo, San Marco, Sant'Ambrogio e Sant'Agostino. Di Berruguete sono anche i due tavoli a sinistra in alto, in cui inizia il ciclo della Passione di Cristo. Morendo nel 1503, il maestro aveva anche iniziato i tavoli dell'Annunciazione e il centro della Crocifissione, terminato da Santa Cruz. Alla morte di quest’ultimo nel 1508, che continuò il progetto con scene dell'Epifania e della Trasfigurazione, Juan de Burggoña terminò il lavoro in stile XIV secolo, rispetto allo stile gotico precedente. A lui si devono le scene della Presentazione, la discesa di Cristo agli inferi, la Nascita e l'Annunciazione. Il santuario di alabastro è un lavoro di Vasco de la Zarza; molto interessante è la curiosa riproduzione del Cristo di Burgos. Decorata con bestie e uomini selvatici, rappresenta davvero un qualcosa di insolito. Da annotare nell'abside la tomba di un vescovo del 15° secolo noto come El Tostado, "l'abbronzato", a causa della sua carnagione scura. Dobbiamo aspettare il turno successivo per la visita della torre; ne approfittiamo per fare un primo giro veloce del centro. Le vie sono particolarmente affollate, spesso intervallate da improvvisate bande musicali che tengono desta l’attenzione dei viandanti, vista la facilità con cui “cala la palpebra”; perlustriamo anche quali locali ci attirano di più, in vista della pausa pranzo.
Ritorniamo alla cattedrale e, dopo non ricordo più quanti faticosi gradini, raggiungiamo la parte alta, una volta abitazione del “campanaro”, un vero e proprio appartamento, relegato a vivere quassù per battere le ore: una sorta di ergastolo senza commettere reato. Purtroppo le feritoie esterno sono tutte rivestite da una grata a fitte maglie, che permettono la vista ma non delle foto interessanti. Scendiamo dalla torre e dalla parte alta della città e andiamo a visitare il Convento della santa. Probabilmente la maggior concentrazione di turisti che qui registriamo, è proprio dovuta alla visita/pellegrinaggio di santa Teresa, data l’affluenza nei luoghi che la ricordano. Quindi diamo una sbirciata veloce a El Palacio de Polentinos, che ospita un archivio e il museo dell'esercito. L'edificio è stato costruito nei primi anni del XVI secolo, e fu residenza dei Conti di Polentinos fino alla fine del XIX secolo, quando fu acquisita dal Comune. A questo punto cerchiamo un locale, e, attraverso le strette e “musicali” vie del centro, troviamo quello che più ci interessa, con proposte tipiche di Avila (cerchiamo esclusivamente cibo locale): purtroppo non ricordo le portate! Andiamo a riprenderci l’auto e raggiungiamo Los Cuatro Postes, menzionata precedentemente. Un vento forte comincia ad alzarsi, accompagnato da cumulonembi per niente simpatici che cominciano a coprire il sole. Ci mettiamo immediatamente in auto per la meta successiva.
Ritorniamo alla cattedrale e, dopo non ricordo più quanti faticosi gradini, raggiungiamo la parte alta, una volta abitazione del “campanaro”, un vero e proprio appartamento, relegato a vivere quassù per battere le ore: una sorta di ergastolo senza commettere reato. Purtroppo le feritoie esterno sono tutte rivestite da una grata a fitte maglie, che permettono la vista ma non delle foto interessanti. Scendiamo dalla torre e dalla parte alta della città e andiamo a visitare il Convento della santa. Probabilmente la maggior concentrazione di turisti che qui registriamo, è proprio dovuta alla visita/pellegrinaggio di santa Teresa, data l’affluenza nei luoghi che la ricordano. Quindi diamo una sbirciata veloce a El Palacio de Polentinos, che ospita un archivio e il museo dell'esercito. L'edificio è stato costruito nei primi anni del XVI secolo, e fu residenza dei Conti di Polentinos fino alla fine del XIX secolo, quando fu acquisita dal Comune. A questo punto cerchiamo un locale, e, attraverso le strette e “musicali” vie del centro, troviamo quello che più ci interessa, con proposte tipiche di Avila (cerchiamo esclusivamente cibo locale): purtroppo non ricordo le portate! Andiamo a riprenderci l’auto e raggiungiamo Los Cuatro Postes, menzionata precedentemente. Un vento forte comincia ad alzarsi, accompagnato da cumulonembi per niente simpatici che cominciano a coprire il sole. Ci mettiamo immediatamente in auto per la meta successiva.






































COCA (Party)
Capitolo 5 Paragrafo 2
Non fatevi trarre in inganno, sebbene tutto lascerebbe pensare a una concentrazione di tiratori… Se avete letto il paragrafo precedente, ad Avila gonfi cumulonembi minacciosi avevano fatto la loro comparsa. Ebbene, un bell’acquazzone caduto da un Cumulonembus Praecipitatio ci ha preso nel tragitto verso questa ulteriore sconosciuta città, nel bel mezzo della arsa “steppa” Castilla-Leon. Wikipedia spende due, dico due righe, su Coca, e in effetti che altro aggiungere? Eppure conserva un tesoro inestimabile, che dovrebbe farla ricordare nella storia dell’umanità (sempre che qualcuno si degni di farlo): i natali dell’imperatore romano TEODOSIO! (Che morì a Milano). Raggiungiamo il Castello, e, con somma costernazione, lo troviamo off-limits per i preparativi della festa che si terrà in serata, e dal quale partiranno i fuochi artificiali. È una imponente fortezza in stile gotico-mudéjar, costruita sulle rovine di una preesistente fortezza romana tra il 1453 e la fine del XV secolo. È considerato un capolavoro dell'arte militare mudéjar. Ospita ora la Escuela Hogar de Capataces Forestales, scuola di agraria. Gironzoliamo per fare una sosta e bere qualcosa. Siamo a Coca e cosa si può ordinare? A voi la risposta. Notiamo un certo fermento nel piazzale vicino al Castillo; ci avviciniamo incuriositi e notiamo un dj che diffonde della musica, accompagnato da improvvisati ballerini. Fin qui nulla di strano, quando da lì a poco capiamo il motivo di quel raduno: della polvere colorata (non bianca per non destare sospetti) viene sparsa sul pubblico, emulando la festa dei colori indiana! Bellissime nuvolaglie di colore si spargono tutte intorno al gruppo, entusiasta e divertito in una gioiosa coreografia. Evitiamo di buttarci nella mischia solo per l’attrezzatura, perché l’effetto è coinvolgente e assolutamente spassoso. Leggermente colorati riprendiamo il nostro giro per la successiva tappa di oggi, prima del rientro a Segovia.













MEDINA DEL CAMPO
Capitolo 5 Paragrafo 3
Consultazione della mappa. Bene, vista l’ora possiamo raggiungere Medina Del Campo e visitare il suo castello, uno dei migliori conservati. Non abbiamo molto margine, il navigatore mi indica circa 15 minuti prima della chiusura: proviamoci. Percorriamo le solite affascinati strade secondarie che solcano una campagna arsa dal sole, quasi desertica, coltivata a girasoli, uniche oasi di verde (e giallo). Passiamo Villagonzalo de Coca e Fuente de Santa Cruz, dove, sulla sinistra ci appare una sorta di tumulo con un edificio in cima: ancora adesso non sappiamo cosa sia, se monumento o fantasia ispanica. Sarà mica stato un avvertimento per coloro i quali entravano nel territorio di Valladolid? Ai posters… Purtroppo, vuoi per le foto al monumento ignoto dell’architetto ignoto, vuoi per aver sbagliato indicazione verso il castello, ecco, bruciamo quei 15 minuti preziosi necessari per non trovare chiuso. Ma che c’è di bello in questa città brutta? (Abbiamo girato per il centro e confermiamo che è davvero brutta!). Di bello c’è il Castillo de la Mota, poderoso in stile mudejar. Di interessante, dal punto di vista storico, troverete che qui, in un palazzo del centro, morì Isabella di Castiglia, la Cattolica. Quella della Reconquista. Un po’ delusi, facciamo ritorno a Segovia, ed è proprio a pochi chilometri a sud di Medina che incontriamo un altro temporale con tanto di coreografia: un bellissimo arcobaleno sovrasta la super-strada, e ci fermiamo sotto la pensilina della fermata del bus per fotografare senza bagnarci. Man mano che procediamo ci lasciamo il temporale e il tramonto alle spalle. Da una piazzola per autotreni, sopraelevata, vicino Labajos, ammiriamo stupefatti questo meraviglioso spettacolo della natura. Forse una delle cose più belle viste in questo viaggio.







ESCORIAL
Capitolo 6 Paragrafo 1
L’itinerario di oggi è all’insegna di monumenti voluti dai reali di Spagna. Ci portiamo dapprima verso Madrid, direzione San Lorenzo, dove trova sede Il monastero dell'Escorial, (anche detto di San Lorenzo del Escorial). Questa enorme costruzione fu fatta costruire da Filippo II come residenza e pantheon dei re di Spagna, dove amava riposare e trascorrere i suoi ultimi giorni fino alla morte, avvenuta nel 1598. Di forma quadrangolare, con quattro torri angolari e una facciata monumentale, è lunga 208 metri e larga 162. Conta 2000 stanze, 2600 finestre, più di 1200 porte, 86 scaloni, 16 cortili, 15 chiostri e 88 fontane. Curiosità: la pianta dell'edificio ha la forma di una graticola in ricordo del supplizio di morte subito da san Lorenzo arso vivo. Altra curiosità: sulla moneta da 2 euro spagnola è stato coniato il monastero. Purtroppo non è stato possibile fotografare gli interni, stupendi, se non di alcune zone. Peccato perché avrebbe meritato un album corposo solo lui. La cosa antipatica è che all’ingresso (prima di pagare) non ti dicono che c’è l’obbligo di lasciare fotocamere e oggetti da ripresa negli appositi cassetti. C’è un pittogramma che significa NON fotografare col flash. Vabbè, non facciamo polemiche, ma sugli smartphone, nessuno ha battuto ciglio. Dal 1984 è Patrimonio dell'Umanità dell'UNESCO. That’s it!
















PALACIO REAL DE LA GRANJA
Capitolo 6 Paragrafo 2
Meno conosciuto del precedente ma altrettanto bello da meritarsi il soprannome di “Piccola Versailles”, (peccato per la manutenzione delle fontane), fu voluto da Filippo V nel 1721 come sua residenza per il pensionamento; purtroppo, nell’agosto dello stesso anno in cui fu terminato (1724), dovette rimettersi la corona per la morte di suo figlio Luigi I, erede al trono. Dopo il suo ritorno al trono, Filippo V ordinò di estendere sia i giardini che il palazzo, commissionando il lavoro all’architetto romano Andrea Procaccini. Nel 1736 fu chiamato l'architetto Filippo Juvarra (proprio lui!) ordinandogli di costruire una nuova facciata lungo l’asse centrale del giardino, lavori successivamente terminati dal suo discepolo Giambattista Sacchetti: l’insieme architettonico risultante del palazzo è quindi diventato molto italiano. L'elemento centrale dell'edificio è la Cappella Reale o Colegiata; prossimo all'altare maggiore è il pantheon reale dove riposano Filippo V e la sua seconda moglie, la parmense Isabella Farnese (quanta Italia che c'è qui!). Anche se il palazzo ha subito un devastante incendio nel 1918, fortunatamente conserva quasi tutte le decorazioni del tempo. Molto impegno fu profuso nella costruzione dei giardini, come ad esempio l'ornamento scultoreo fatto da artisti francesi che avevano lavorato nei palazzi di Luigi XIV, a Marly. Purtroppo, anche qui non ci è stato possibile fotografare ma, a differenza dell’Escorial, ci hanno avvisati prima dell’ingresso, "invitandoci" a lasciare le fotocamere negli armadietti. Pertanto, se volete sapere come sono gli interni, dovete venirci personalmente. Ma ne vale davvero la pena!










SEGOVIA 2
Capitolo 6 Paragrafo 3
Segovia By Evening and By Night. Il fascino delle città storiche nell’enfasi della corretta illuminazione, unitamente ad un ambiente circostante favorevole, è ineguagliabile.
Scappiamo da “La Granja” (Paragrafo precedente) per raggiungere in tempo utile la Cattedrale e visitarne l’interno. Inutile declamare la sua imponenza: è semplicemente lapalissiano. La sua eleganza (ultima chiesa gotica di Spagna e d’Europa), racchiude i suoi tesori tra i quali la raccolta di stili che vanno dal tardo-gotico, al barocco al neoclassico, e tutti in armonia tra loro. Innumerevoli le cappelle e i Retabli più o meno finemente lavorati e più o meno preziosi. Lasciamo la cattedrale per raggiungere un’altra meraviglia della città: l’Alcazar. Costruita su uno sperone roccioso di circa 80 metri, rappresenta, assieme all’acquedotto, il monumento più significativo. Molto probabilmente di origine romana e poi Visigota, fu resa alcazar (fortezza) dagli arabi. Su questi resti preesistenti, Alfonso VI dopo la "Reconquista" ne ampliò notevolmente la costruzione facendone una delle dimore dei re castigliani. Nel 1474, da qui partì il cammino di Isabella la Cattolica per essere proclamata regina di Castiglia nella Iglesia di San Miguel. E’ tardi e non possiamo entrare. Meglio! Una bellissima Golden hour si stende sulla città. Rimbalziamo da una parte all’altra per cercare lo scorcio migliore, la luce più favorevole, scendendo con l’auto alle pendici del roccione che sostiene l’Alcazar. Nel frattempo la Golden hour cede il passo alla luce blu e alla calda illuminazione della città. Risaliamo verso la Cattedrale, scendiamo nuovamente per fotografare la città da un’altra prospettiva. Si riparte con gli scatti! Non è da meno la Chiesa della Vera Cruz, fondata dai Cavalieri Templari nel XIII secolo. È una singolare chiesa in stile romanico dodecagonale. Si ispira alla struttura architettonica del Santo Sepolcro di Gerusalemme, dove fu istituito l'Ordine dei Templari. Affidato ora all’Ordine di Malta, è patrimonio dell’UNESCO. Buona visione!
Scappiamo da “La Granja” (Paragrafo precedente) per raggiungere in tempo utile la Cattedrale e visitarne l’interno. Inutile declamare la sua imponenza: è semplicemente lapalissiano. La sua eleganza (ultima chiesa gotica di Spagna e d’Europa), racchiude i suoi tesori tra i quali la raccolta di stili che vanno dal tardo-gotico, al barocco al neoclassico, e tutti in armonia tra loro. Innumerevoli le cappelle e i Retabli più o meno finemente lavorati e più o meno preziosi. Lasciamo la cattedrale per raggiungere un’altra meraviglia della città: l’Alcazar. Costruita su uno sperone roccioso di circa 80 metri, rappresenta, assieme all’acquedotto, il monumento più significativo. Molto probabilmente di origine romana e poi Visigota, fu resa alcazar (fortezza) dagli arabi. Su questi resti preesistenti, Alfonso VI dopo la "Reconquista" ne ampliò notevolmente la costruzione facendone una delle dimore dei re castigliani. Nel 1474, da qui partì il cammino di Isabella la Cattolica per essere proclamata regina di Castiglia nella Iglesia di San Miguel. E’ tardi e non possiamo entrare. Meglio! Una bellissima Golden hour si stende sulla città. Rimbalziamo da una parte all’altra per cercare lo scorcio migliore, la luce più favorevole, scendendo con l’auto alle pendici del roccione che sostiene l’Alcazar. Nel frattempo la Golden hour cede il passo alla luce blu e alla calda illuminazione della città. Risaliamo verso la Cattedrale, scendiamo nuovamente per fotografare la città da un’altra prospettiva. Si riparte con gli scatti! Non è da meno la Chiesa della Vera Cruz, fondata dai Cavalieri Templari nel XIII secolo. È una singolare chiesa in stile romanico dodecagonale. Si ispira alla struttura architettonica del Santo Sepolcro di Gerusalemme, dove fu istituito l'Ordine dei Templari. Affidato ora all’Ordine di Malta, è patrimonio dell’UNESCO. Buona visione!





















SEGOVIA 3
Capitolo 7 Paragrafo 1
Segovia, ancora Segovia. Eh sì, come si fa a lasciarla?
Oggi tappa di trasferimento verso un’altra città, ma non senza aver visitato l’interno dell’Alcazar. Ieri sera abbiamo fatto l’esterno in Golden hour e in notturna; stamattina visiteremo l’interno. Se l’esterno è stato meraviglioso, gli interni sono stupefacenti. La Torre di Giovanni II culmina in una grande terrazza panoramica, dalla quale abbiamo ammirato una splendida vista della città e del brullo, ma affascinante, territorio circostante, dopo una faticosa salita per i ripidi e numerosi gradini. La Sala del Trono conserva lo stemma dei monarchi con il loro motto “Tanto Monta” (???), posto sotto il baldacchino.
Nella Camera Reale si possono vedere, sulle sue pareti, scene di vita familiare dei monarchi cattolici. Il letto ha una coperta broccata e intrecciata in oro. La Sala della Cambusa prende il nome dal vecchio soffitto a cassettoni che aveva la forma di uno scafo invertito. Fu costruita dalla regina Catalina de Lancáster nel 1412. Il fregio è di intonaco mudejar con una doppia iscrizione: quello superiore con una preghiera eucaristica e quello inferiore con informazioni sulla costruzione della sala. Nelle finestre ci sono due vetrate che rappresentano Enrico III di Castiglia e la sua famiglia, e l'altra Enrico II con scene della morte di Pietro I e Giovanni II. Una delle pareti è decorata con un dipinto che rappresenta l'incoronazione della regina Isabella “la Cattolica” nella chiesa di San Miguel di Segovia (ricordate?) La Sala dei Re fu commissionata da Filippo II a Hernando de Ávila per disegnare le statue corrispondenti ai re delle Asturie, León e Castilla. Uno dei dipinti rappresenta il ritratto di Filippo II stesso, e gli altri due sono ritratti di due delle sue mogli, Isabella di Valois e Anna d’Austria. Non da meno interessante è l’attuale museo dell’artiglieria, dove sono presenti anche numerosi trattati di geometria, fisica, chimica e geologia, il tutto, ovviamente, rivolto per impieghi militari. Soddisfatti, ma anche un po’ stanchi per il lungo cammino previsto per la visita, si ritorna in auto, e questa volta per lasciare definitivamente questa meravigliosa città, approfittandone per immortalare alcuni dettagli che incontriamo camminando. Arrivederci Segovia!
Oggi tappa di trasferimento verso un’altra città, ma non senza aver visitato l’interno dell’Alcazar. Ieri sera abbiamo fatto l’esterno in Golden hour e in notturna; stamattina visiteremo l’interno. Se l’esterno è stato meraviglioso, gli interni sono stupefacenti. La Torre di Giovanni II culmina in una grande terrazza panoramica, dalla quale abbiamo ammirato una splendida vista della città e del brullo, ma affascinante, territorio circostante, dopo una faticosa salita per i ripidi e numerosi gradini. La Sala del Trono conserva lo stemma dei monarchi con il loro motto “Tanto Monta” (???), posto sotto il baldacchino.
Nella Camera Reale si possono vedere, sulle sue pareti, scene di vita familiare dei monarchi cattolici. Il letto ha una coperta broccata e intrecciata in oro. La Sala della Cambusa prende il nome dal vecchio soffitto a cassettoni che aveva la forma di uno scafo invertito. Fu costruita dalla regina Catalina de Lancáster nel 1412. Il fregio è di intonaco mudejar con una doppia iscrizione: quello superiore con una preghiera eucaristica e quello inferiore con informazioni sulla costruzione della sala. Nelle finestre ci sono due vetrate che rappresentano Enrico III di Castiglia e la sua famiglia, e l'altra Enrico II con scene della morte di Pietro I e Giovanni II. Una delle pareti è decorata con un dipinto che rappresenta l'incoronazione della regina Isabella “la Cattolica” nella chiesa di San Miguel di Segovia (ricordate?) La Sala dei Re fu commissionata da Filippo II a Hernando de Ávila per disegnare le statue corrispondenti ai re delle Asturie, León e Castilla. Uno dei dipinti rappresenta il ritratto di Filippo II stesso, e gli altri due sono ritratti di due delle sue mogli, Isabella di Valois e Anna d’Austria. Non da meno interessante è l’attuale museo dell’artiglieria, dove sono presenti anche numerosi trattati di geometria, fisica, chimica e geologia, il tutto, ovviamente, rivolto per impieghi militari. Soddisfatti, ma anche un po’ stanchi per il lungo cammino previsto per la visita, si ritorna in auto, e questa volta per lasciare definitivamente questa meravigliosa città, approfittandone per immortalare alcuni dettagli che incontriamo camminando. Arrivederci Segovia!





























SALAMANCA 1
Capitolo 7 Paragrafo 2
Senza fretta, godendoci il più possibile il paesaggio circostante, percorriamo i 160 km che che separano Segovia da Salamanca.
Salamanca! Pensata tante volte, la visita sempre rimandata, ora… è qui! Sono qui! Siamo qui! Che spettacolo! Non ci sono aggettivi che la possano descrivere, non ci sono immagini che la possano rappresentare: bisogna solo vederla. È ritenuta, e a ragione, la più bella città della Spagna e legata alla sua celebre università, ma la sua storia arriva da lontano, in epoca pre-romana e precisamente da un insediamento celtiberico. Annibale la conquistò nel 218 a.C., per poi finire nelle mani dei romani durante la loro conquista della Hispania ma senza darne importanza. Con la Reconquista cambiarono le cose. Nel 1218 fu fondata l’Università divenendo uno dei principali centri di apprendimento e di concentrazione culturale dell’Europa dell’epoca. Fiorì durante l’epoca dei monarchi cattolici, e la città divenne il simbolo della Spagna imperiale. L’albergo che ci ospita è collocato male: troppo vicino al centro per andarci in auto, ma anche troppo lontano per andarci a piedi. Nonostante tutto optiamo per la seconda soluzione, d’altronde camminare fa bene e poi siamo in vacanza: chi l’ha detto che bisogna oziare? Attrezzature in spalla e via verso il centro! Oltrepassiamo un portico e si presenta davanti ai nostri occhi una delle più spettacolari piazze che abbia mai visto. Plaza Mayor, una sorta di Piazza San Carlo di Torino ma elevata a qualche potenza. Meravigliosa. Affollatissima. Elegante e dignitosa. Personalmente, sono rimasto qualche minuto a contemplarla prima di reagire allo stato ipnotico in cui ero caduto e fare qualche scatto. Questi sono i casi in cui o fai mille scatti o nessuno. Sarà stata la Golden Hour, il cielo cristallino di Spagna, l’atmosfera, la personale predisposizione, sta di fatto che le condizioni al contorno per fotografare erano ideali. Passeggiare per le sue calle ci si impregna davvero di cultura, una cultura antica, millenaria, che arriva fino al nostro presente. Passiamo la barocca Clerecia, iniziata nel 1617 sotto la protezione di Margherita d'Austria, moglie di Filippo III, a quanto pare come atto di riparazione a seguito dell’incarcerazione da parte dell’Inquisizione Spagnola di Ignacio de Loyola. Purtroppo rimandiamo la visita del suo interno e non riusciamo più a vederla nei giorni successivi. Chissà… Originalissima la dirimpettaia Casa de Las Conchas, esternamente tappezzata da forme di conchiglie in muratura. Quindi arriviamo alla Cattedrale di Salamanca, composta dalla Catedral Nueva e la Catedral Vieja. Bellissima anche questa. Mi è stato difficile fare una cernita delle foto, tutte meriterebbero d’essere viste, e spero che queste possano rendere l’idea. Dopo essermi fatto venire il torcicollo, soddisfatti, usciamo e raggiungiamo l’università (quella antica e famosa), quasi di fronte alla cattedrale. Ma cosa ci fa tutta questa gente col naso all’insù mentre occupa il Patio de Las Escuelas al cui centro si erge frate Luis de Leon? Ammirano la sua incredibile facciata, meraviglioso esempio di arte in pietra arenaria. Solo per questo? No. Dovete sapere che su questa facciata è rappresentata una rana; la leggenda vuole che chi riesce a trovarla (senza aiuto) ha la fortuna garantita negli studi, nell’amore, nel lavoro, e migliaia tra turisti, curiosi e gli stessi studenti appena iscritti, si prodigano nella sua ricerca. Vi assicuro che è nascosta bene e con tutti quegli intarsi ci passate mesi a trovarla. E nel frattempo la fortuna se ne è andata… Entriamo nel giardino del Patio e in una delle sue aule troviamo un altro capolavoro: Il Cielo di Salamanca. Una meravigliosa scoperta del ventesimo secolo durante dei lavori di ristrutturazione, attribuito a Fernando Gallego del XV secolo. Allude a temi astronomici e astrologici, originariamente collocato nella volta della vecchia biblioteca (dove oggi vi è la cappella). Breathtaking! Questa prima full immersion ci ha fatto venire fame: facciamo ancora un giro “largo” passando dal Convento de San Esteban (bellissimo anche questo, tanto per cambiare), per rimmetterci nel centro e riempirci lo stomaco di leccornie Castigliane.
Salamanca! Pensata tante volte, la visita sempre rimandata, ora… è qui! Sono qui! Siamo qui! Che spettacolo! Non ci sono aggettivi che la possano descrivere, non ci sono immagini che la possano rappresentare: bisogna solo vederla. È ritenuta, e a ragione, la più bella città della Spagna e legata alla sua celebre università, ma la sua storia arriva da lontano, in epoca pre-romana e precisamente da un insediamento celtiberico. Annibale la conquistò nel 218 a.C., per poi finire nelle mani dei romani durante la loro conquista della Hispania ma senza darne importanza. Con la Reconquista cambiarono le cose. Nel 1218 fu fondata l’Università divenendo uno dei principali centri di apprendimento e di concentrazione culturale dell’Europa dell’epoca. Fiorì durante l’epoca dei monarchi cattolici, e la città divenne il simbolo della Spagna imperiale. L’albergo che ci ospita è collocato male: troppo vicino al centro per andarci in auto, ma anche troppo lontano per andarci a piedi. Nonostante tutto optiamo per la seconda soluzione, d’altronde camminare fa bene e poi siamo in vacanza: chi l’ha detto che bisogna oziare? Attrezzature in spalla e via verso il centro! Oltrepassiamo un portico e si presenta davanti ai nostri occhi una delle più spettacolari piazze che abbia mai visto. Plaza Mayor, una sorta di Piazza San Carlo di Torino ma elevata a qualche potenza. Meravigliosa. Affollatissima. Elegante e dignitosa. Personalmente, sono rimasto qualche minuto a contemplarla prima di reagire allo stato ipnotico in cui ero caduto e fare qualche scatto. Questi sono i casi in cui o fai mille scatti o nessuno. Sarà stata la Golden Hour, il cielo cristallino di Spagna, l’atmosfera, la personale predisposizione, sta di fatto che le condizioni al contorno per fotografare erano ideali. Passeggiare per le sue calle ci si impregna davvero di cultura, una cultura antica, millenaria, che arriva fino al nostro presente. Passiamo la barocca Clerecia, iniziata nel 1617 sotto la protezione di Margherita d'Austria, moglie di Filippo III, a quanto pare come atto di riparazione a seguito dell’incarcerazione da parte dell’Inquisizione Spagnola di Ignacio de Loyola. Purtroppo rimandiamo la visita del suo interno e non riusciamo più a vederla nei giorni successivi. Chissà… Originalissima la dirimpettaia Casa de Las Conchas, esternamente tappezzata da forme di conchiglie in muratura. Quindi arriviamo alla Cattedrale di Salamanca, composta dalla Catedral Nueva e la Catedral Vieja. Bellissima anche questa. Mi è stato difficile fare una cernita delle foto, tutte meriterebbero d’essere viste, e spero che queste possano rendere l’idea. Dopo essermi fatto venire il torcicollo, soddisfatti, usciamo e raggiungiamo l’università (quella antica e famosa), quasi di fronte alla cattedrale. Ma cosa ci fa tutta questa gente col naso all’insù mentre occupa il Patio de Las Escuelas al cui centro si erge frate Luis de Leon? Ammirano la sua incredibile facciata, meraviglioso esempio di arte in pietra arenaria. Solo per questo? No. Dovete sapere che su questa facciata è rappresentata una rana; la leggenda vuole che chi riesce a trovarla (senza aiuto) ha la fortuna garantita negli studi, nell’amore, nel lavoro, e migliaia tra turisti, curiosi e gli stessi studenti appena iscritti, si prodigano nella sua ricerca. Vi assicuro che è nascosta bene e con tutti quegli intarsi ci passate mesi a trovarla. E nel frattempo la fortuna se ne è andata… Entriamo nel giardino del Patio e in una delle sue aule troviamo un altro capolavoro: Il Cielo di Salamanca. Una meravigliosa scoperta del ventesimo secolo durante dei lavori di ristrutturazione, attribuito a Fernando Gallego del XV secolo. Allude a temi astronomici e astrologici, originariamente collocato nella volta della vecchia biblioteca (dove oggi vi è la cappella). Breathtaking! Questa prima full immersion ci ha fatto venire fame: facciamo ancora un giro “largo” passando dal Convento de San Esteban (bellissimo anche questo, tanto per cambiare), per rimmetterci nel centro e riempirci lo stomaco di leccornie Castigliane.



































TORDESILLAS
Capitolo 8 Paragrafo 1
Chi ha mai sentito parlare di questa città? Vi siete mai chiesti perché in alcune zone del mondo si parla portoghese e spagnolo in altre? Pensate al Brasile e all’Argentina oppure ai paesi Andini.
Ebbene, il 7 giugno del 1494, proprio qui fu firmato l’importantissimo trattato che sanciva la spartizione delle colonie del mondo. La divisione venne fatta lungo il meridiano a 370 leghe (1.770 km) ad ovest delle Isole di Capo Verde; le terre a est di questa linea sarebbero appartenute al Portogallo e quelle a ovest alla Spagna. Gli originali sono conservati presso l'Archivo General de Indias a Siviglia in Spagna e presso l'Archivio nazionale Torre do Tombo a Lisbona in Portogallo. Nel 2007 l'UNESCO ha inserito il testo del Trattato nell'Elenco delle Memorie del mondo. Il grande Colombo era appena tornato dal suo giretto verso le “Indie”, portandosi con sé la patata bollente da spartire. I furbi spagnoli volevano suddividere il mondo lasciando l’Africa al Portogallo per tenersi tutto ciò che era a Ovest. Gli altrettanto figli di buona donna portoghesi, annusando la fregatura, spostarono il meridiano più a ovest ancora, e finirono per prendersi quello che poi sarebbe diventato il Brasile. Negli anni successivi fu ulteriormente negoziato, ma sarebbero stati solo dettagli. Capito quindi perché in Sudamerica si parlano le due lingue?
Rimanendo sempre in ambito storico, e sempre coevo al trattato, qui si consumò la triste e tragica vita di Giovanna la Pazza (Juana la Loca). Figlia di Isabella di Castiglia e Ferdinando II d’Aragona, fu data in sposa a Filippo il Bello, del quale si innamorò follemente senza però esserne ricambiata. Morta la madre Isabella, si aprirono gli eterni conflitti di ereditarietà, contesa tra Ferdinando (il padre), Filippo (il consorte) ed ella stessa. Come al solito il destino (probabilmente “pilotato”) mette d’accordo tutti: qualche mese dopo muore Filippo, e Giovanna comincia a dare evidenti segni di squilibrio, o meglio, è il padre che denuncia a tutte le corti l’instabile equilibrio psichico della figlia: documentazione precisa in merito non ve n’è. Sta di fatto che Giovanna fu domiciliata qui a Tordesillas e vi rimase anche dopo la morte del padre, poiché la corona passò a Carlo V (Carlo di Gand). Per motivi di equilibri politici (ricordo che la Spagna era a quel tempo una potenza notevole), lo stesso figlio, per evitare ingerenze e pretese al trono, non fece molto per la madre, lasciandola ancora in quel palazzo di Tordesillas fino alla morte, sopraggiunta il 12 aprile del 1555, all’età di 76 anni, vivendo quasi in miseria.
«Egli sacrificò risolutamente la madre alla sua missione, come Filippo aveva sacrificato la moglie alla sua avarizia, come Ferdinando aveva immolato la figlia ai suoi piani politici». Almeno le fu dato l’onore di una degna sepoltura, nella Cattedrale di Granada accanto al marito che ha amato alla follia.
E con questa bruttissima storia chiudiamo il primo itinerario di oggi. A dopo!
Ebbene, il 7 giugno del 1494, proprio qui fu firmato l’importantissimo trattato che sanciva la spartizione delle colonie del mondo. La divisione venne fatta lungo il meridiano a 370 leghe (1.770 km) ad ovest delle Isole di Capo Verde; le terre a est di questa linea sarebbero appartenute al Portogallo e quelle a ovest alla Spagna. Gli originali sono conservati presso l'Archivo General de Indias a Siviglia in Spagna e presso l'Archivio nazionale Torre do Tombo a Lisbona in Portogallo. Nel 2007 l'UNESCO ha inserito il testo del Trattato nell'Elenco delle Memorie del mondo. Il grande Colombo era appena tornato dal suo giretto verso le “Indie”, portandosi con sé la patata bollente da spartire. I furbi spagnoli volevano suddividere il mondo lasciando l’Africa al Portogallo per tenersi tutto ciò che era a Ovest. Gli altrettanto figli di buona donna portoghesi, annusando la fregatura, spostarono il meridiano più a ovest ancora, e finirono per prendersi quello che poi sarebbe diventato il Brasile. Negli anni successivi fu ulteriormente negoziato, ma sarebbero stati solo dettagli. Capito quindi perché in Sudamerica si parlano le due lingue?
Rimanendo sempre in ambito storico, e sempre coevo al trattato, qui si consumò la triste e tragica vita di Giovanna la Pazza (Juana la Loca). Figlia di Isabella di Castiglia e Ferdinando II d’Aragona, fu data in sposa a Filippo il Bello, del quale si innamorò follemente senza però esserne ricambiata. Morta la madre Isabella, si aprirono gli eterni conflitti di ereditarietà, contesa tra Ferdinando (il padre), Filippo (il consorte) ed ella stessa. Come al solito il destino (probabilmente “pilotato”) mette d’accordo tutti: qualche mese dopo muore Filippo, e Giovanna comincia a dare evidenti segni di squilibrio, o meglio, è il padre che denuncia a tutte le corti l’instabile equilibrio psichico della figlia: documentazione precisa in merito non ve n’è. Sta di fatto che Giovanna fu domiciliata qui a Tordesillas e vi rimase anche dopo la morte del padre, poiché la corona passò a Carlo V (Carlo di Gand). Per motivi di equilibri politici (ricordo che la Spagna era a quel tempo una potenza notevole), lo stesso figlio, per evitare ingerenze e pretese al trono, non fece molto per la madre, lasciandola ancora in quel palazzo di Tordesillas fino alla morte, sopraggiunta il 12 aprile del 1555, all’età di 76 anni, vivendo quasi in miseria.
«Egli sacrificò risolutamente la madre alla sua missione, come Filippo aveva sacrificato la moglie alla sua avarizia, come Ferdinando aveva immolato la figlia ai suoi piani politici». Almeno le fu dato l’onore di una degna sepoltura, nella Cattedrale di Granada accanto al marito che ha amato alla follia.
E con questa bruttissima storia chiudiamo il primo itinerario di oggi. A dopo!








SIMANCAS, PALENCIA, VALLADOLID
Capitolo 8 Paragrafo 2
Ci troviamo nel centro della Castilla-Leon, su questo pianoro della Mesa Spagnola che, relativamente all’altezza media, è come calarsi in una depressione, e lo si sente dal calore.
Incontriamo Simancas, alle porte di Valladolid, la quale, sebbene un po’ anonima, conserva un patrimonio immenso per gli storici: il castello fu edificato per contenere l’archivio dei documenti reali da Carlo V (proprio lui, il figlio della summenzionata Giovanna La Pazza) fino ai giorni nostri. Una biblioteca immensa che conserva il patrimonio storico-documentale della Spagna e di tutti i suoi regnanti, sia del territorio iberico che dei territori conquistati o sotto dominio. Ovviamente: vedere ma non toccare! Davvero interessante la mostra (credo permanente) su Miguel de Cervantes. Valladolid decidiamo di visitarla al ritorno, dovendo fare la stessa strada e avendo poco da raccontare. Quindi raggiungiamo Palencia, ricordata dal grande Hemingway come “un bel posto, tranquillo e ospitale, evitato dai pellegrini, dai turisti e dalla consapevolezza della sua presenza”, e in effetti si trova “equidistantemente” scomoda da Valladolid, Leon, Burgos. Eppure ha avuto un passato glorioso. Conquistata da Pompeo attribuendole il nome di Pallantia, sancì, nel 70 a.C., la fine delle guerre celtibere. Prosperò anche sotto il regno dei Visigoti, le cui vestigia sono tuttora presenti, potendoli osservare in alcune necropoli circostanti, nella chiesa di San Juan de Banos (perchè non ci siamo andati?!?!) e nella cripta della Cattedrale; ma il tutto fini nel 711 con la conquista araba, costringendo la popolazione alla fuga. Successivamente, il re Sancho el Mayor cercò di riportare in auge la città, ma fu il re di Castiglia Alfonso VIII che diede l’impulso più consistente, fondando la prima università spagnola, il cui allevo più famoso fu Domenico di Guzman. Nel 1378 la città divenne leggenda grazie alla strenua difesa contro gli attacchi del Duca di Lancaster (Giovanni di Gand), in lotta per le sue pretese sulla Castiglia. L’eccezionalità sta nel fatto che a difendere la città furono le sole donne! La decadenza avvenne con la sconfitta dei comuneros nel 1521, e la città, roccaforte, perse molti dei privilegi conquistati. La Cattedrale è anche conosciuta col nome di La Bella Desconocida, perché edificata in una piazza anonima e nascosta della città, al contrario di altre costruite in modo da essere ben visibili. Probabilmente fu per comodità, sovrapponendosi alle preesistenti fondamenta romaniche e visigote. Siamo sul limite della chiusura e decidiamo lo stesso di pagare il biglietto di ingresso e visitarla. Ci dicono 10 minuti, ma alla fine riusciamo a starci mezz’ora e più, approfittando del ritardo di uno sparuto gruppo guidato; senza praticamente nessuno, ci godiamo la vista superba degli interni e possiamo fotografare in santa pace. Imponente il Retablo che raffigura la vita di Cristo, e non da meno sono varie altre opere degne d’essere fotografate. Stupefacente la cripta con i resti di elementi architettonici Visigoti. Ci incuriosisce l’imponente (e pure minacciosa) statua del Cristo de Otero, collocato, questo sì, sulla collina sovrastante la città, da cui si gode della veduta. È la seconda statua più alta al mondo dopo il Corcovado, solo che questa sembra dichiarare estraneità ai fatti… Ritorniamo verso la base di appoggio a Salamanca, facendo un passaggio rapido per Valladolid, dove pranziamo sulla deserta Plaza Mayor e, rifocillati, ci fermiamo per alcuni scatti al monumento dedicato a Cristoforo Colombo, che qui morì il 20 maggio del 1506. Assieme a quest’ultimo, la città è legata anche ai nomi di Cervantes e, purtroppo, a Torquemada l’inquisitore, il quale proprio qui creò uno dei suoi centri dell’”Auto de Fé”. Brrrrr. Andiamocene. Come a Torino, anche qui si tennero vari convegni sulla Luce, intesa nella sua più ampia accezione, dalla fisica all’ingegneria, dalla teoria cosmologica all’uso quotidiano.
Incontriamo Simancas, alle porte di Valladolid, la quale, sebbene un po’ anonima, conserva un patrimonio immenso per gli storici: il castello fu edificato per contenere l’archivio dei documenti reali da Carlo V (proprio lui, il figlio della summenzionata Giovanna La Pazza) fino ai giorni nostri. Una biblioteca immensa che conserva il patrimonio storico-documentale della Spagna e di tutti i suoi regnanti, sia del territorio iberico che dei territori conquistati o sotto dominio. Ovviamente: vedere ma non toccare! Davvero interessante la mostra (credo permanente) su Miguel de Cervantes. Valladolid decidiamo di visitarla al ritorno, dovendo fare la stessa strada e avendo poco da raccontare. Quindi raggiungiamo Palencia, ricordata dal grande Hemingway come “un bel posto, tranquillo e ospitale, evitato dai pellegrini, dai turisti e dalla consapevolezza della sua presenza”, e in effetti si trova “equidistantemente” scomoda da Valladolid, Leon, Burgos. Eppure ha avuto un passato glorioso. Conquistata da Pompeo attribuendole il nome di Pallantia, sancì, nel 70 a.C., la fine delle guerre celtibere. Prosperò anche sotto il regno dei Visigoti, le cui vestigia sono tuttora presenti, potendoli osservare in alcune necropoli circostanti, nella chiesa di San Juan de Banos (perchè non ci siamo andati?!?!) e nella cripta della Cattedrale; ma il tutto fini nel 711 con la conquista araba, costringendo la popolazione alla fuga. Successivamente, il re Sancho el Mayor cercò di riportare in auge la città, ma fu il re di Castiglia Alfonso VIII che diede l’impulso più consistente, fondando la prima università spagnola, il cui allevo più famoso fu Domenico di Guzman. Nel 1378 la città divenne leggenda grazie alla strenua difesa contro gli attacchi del Duca di Lancaster (Giovanni di Gand), in lotta per le sue pretese sulla Castiglia. L’eccezionalità sta nel fatto che a difendere la città furono le sole donne! La decadenza avvenne con la sconfitta dei comuneros nel 1521, e la città, roccaforte, perse molti dei privilegi conquistati. La Cattedrale è anche conosciuta col nome di La Bella Desconocida, perché edificata in una piazza anonima e nascosta della città, al contrario di altre costruite in modo da essere ben visibili. Probabilmente fu per comodità, sovrapponendosi alle preesistenti fondamenta romaniche e visigote. Siamo sul limite della chiusura e decidiamo lo stesso di pagare il biglietto di ingresso e visitarla. Ci dicono 10 minuti, ma alla fine riusciamo a starci mezz’ora e più, approfittando del ritardo di uno sparuto gruppo guidato; senza praticamente nessuno, ci godiamo la vista superba degli interni e possiamo fotografare in santa pace. Imponente il Retablo che raffigura la vita di Cristo, e non da meno sono varie altre opere degne d’essere fotografate. Stupefacente la cripta con i resti di elementi architettonici Visigoti. Ci incuriosisce l’imponente (e pure minacciosa) statua del Cristo de Otero, collocato, questo sì, sulla collina sovrastante la città, da cui si gode della veduta. È la seconda statua più alta al mondo dopo il Corcovado, solo che questa sembra dichiarare estraneità ai fatti… Ritorniamo verso la base di appoggio a Salamanca, facendo un passaggio rapido per Valladolid, dove pranziamo sulla deserta Plaza Mayor e, rifocillati, ci fermiamo per alcuni scatti al monumento dedicato a Cristoforo Colombo, che qui morì il 20 maggio del 1506. Assieme a quest’ultimo, la città è legata anche ai nomi di Cervantes e, purtroppo, a Torquemada l’inquisitore, il quale proprio qui creò uno dei suoi centri dell’”Auto de Fé”. Brrrrr. Andiamocene. Come a Torino, anche qui si tennero vari convegni sulla Luce, intesa nella sua più ampia accezione, dalla fisica all’ingegneria, dalla teoria cosmologica all’uso quotidiano.



































SALAMANCA 2
Capitolo 8 Paragrafo 3
Rientriamo da Valladolid verso sera, giusto il tempo per goderci questa straordinaria città di Salamanca, che di notte è ancora più meravigliosa, accompagnata da una leggera brezza che la rende ancor più piacevole. Astonishing. Lascio parlare le immagini.























ZAMORA
Capitolo 9 Paragrafo 1
Insediamento celtico prima, cartaginese, e poi romano, diventa una fortezza nel periodo della reconquista. Nel medioevo fu dotata di straordinarie mura e fu famosa per la sua resistenza durante gli assedi, al punto da meritarsi il motto: “no se gano en una hora" (Zamora non fu presa in un'ora, contrapposto al nostro “Roma non fu fatta in un giorno”). Sulla sezione occidentale sono conservate tuttora delle imponenti rovine che cingono la città vecchia, posta in alto sulla riva rocciosa del Duero, e sul camminamento delle quali è possibile ammirare la città e il territorio circostante.
Accanto, sorge la Cattedrale, dove spicca, insolita e interessante, la cupola, formata da tegole frastagliate e piccole pagode, che richiamano qualcosa di orientale. Carino l’interno, in classico stile spagnolo da reconquista, mentre sono davvero stupendi gli arazzi fiamminghi, conservati nel museo interno alla cattedrale stessa. Da menzionare il Puente de Piedra, che si allunga sul fiume Druero. Cittadina ordinata e pulita, anche se con qualche difficoltà nel trovare parcheggio. Visitatela!
Accanto, sorge la Cattedrale, dove spicca, insolita e interessante, la cupola, formata da tegole frastagliate e piccole pagode, che richiamano qualcosa di orientale. Carino l’interno, in classico stile spagnolo da reconquista, mentre sono davvero stupendi gli arazzi fiamminghi, conservati nel museo interno alla cattedrale stessa. Da menzionare il Puente de Piedra, che si allunga sul fiume Druero. Cittadina ordinata e pulita, anche se con qualche difficoltà nel trovare parcheggio. Visitatela!



























URUENA
Capitolo 9 Paragrafo 2
Prosegue il nostro viaggio itinerante sulla terra di Spagna.
Nella tappa di trasferimento da Salamanca verso Nord, siamo passati prima da Zamora e adesso, con una piccola deviazione, ci addentriamo in una delle zone meno conosciute e battute della Castiglia: Uruena. Confermiamo quanto letto nei vari depliant: il posto meriterebbe un flusso maggiore di turisti, soprattutto stranieri, ma è letteralmente dimenticato. Eppure è straordinario nella sua solitudine, collocato in un contesto ambientale che quasi sembra un ritorno al passato. Un passato che solca vari secoli di storia. Ci arriviamo intorno alle 13, con un sole spietato che non lascia davvero scampo, e, come fanno gli stessi abitanti, cerchiamo di stare il più possibile all’ombra. Fortunatamente tira una leggera brezza che rende meno soffocante l’aria, evitando il più possibile ogni esposizione diretta. Ci rinfreschiamo e ci rifocilliamo in una locanda dai sapori antichi: mangiamo benissimo, in modo “autoctono” e a basso prezzo senza pregiudicare la qualità. Ricaricati, possiamo iniziare il giro del borgo e delle sue meravigliose mura di cinta fortificate, dal cui camminamento si ha una vista sottostante superba. La sottostante Iglesia de Nuestra Senora de la Anunciada non possiamo visitarla per l’orario di chiusura. Davvero un peccato: un gioiellino artistico, in stile romanico-catalano, la cui caratteristica sono gli “archi lombardi” tracciati intorno all’abside e che sembrano delle dita. Altra peculiarità insolita di questo borgo è la sua nomina a Città del Libro, per il decennio 2007-2017. Mi chiedo: ma chi legge? Chi viene a leggere? Probabilmente è stata una operazione di “marketing” per portare alla conoscenza dei turisti questo delizioso borgo. BUONA FORTUNA!
Nella tappa di trasferimento da Salamanca verso Nord, siamo passati prima da Zamora e adesso, con una piccola deviazione, ci addentriamo in una delle zone meno conosciute e battute della Castiglia: Uruena. Confermiamo quanto letto nei vari depliant: il posto meriterebbe un flusso maggiore di turisti, soprattutto stranieri, ma è letteralmente dimenticato. Eppure è straordinario nella sua solitudine, collocato in un contesto ambientale che quasi sembra un ritorno al passato. Un passato che solca vari secoli di storia. Ci arriviamo intorno alle 13, con un sole spietato che non lascia davvero scampo, e, come fanno gli stessi abitanti, cerchiamo di stare il più possibile all’ombra. Fortunatamente tira una leggera brezza che rende meno soffocante l’aria, evitando il più possibile ogni esposizione diretta. Ci rinfreschiamo e ci rifocilliamo in una locanda dai sapori antichi: mangiamo benissimo, in modo “autoctono” e a basso prezzo senza pregiudicare la qualità. Ricaricati, possiamo iniziare il giro del borgo e delle sue meravigliose mura di cinta fortificate, dal cui camminamento si ha una vista sottostante superba. La sottostante Iglesia de Nuestra Senora de la Anunciada non possiamo visitarla per l’orario di chiusura. Davvero un peccato: un gioiellino artistico, in stile romanico-catalano, la cui caratteristica sono gli “archi lombardi” tracciati intorno all’abside e che sembrano delle dita. Altra peculiarità insolita di questo borgo è la sua nomina a Città del Libro, per il decennio 2007-2017. Mi chiedo: ma chi legge? Chi viene a leggere? Probabilmente è stata una operazione di “marketing” per portare alla conoscenza dei turisti questo delizioso borgo. BUONA FORTUNA!



















LEON
Capitolo 10 Paragrafo 1
Capoluogo della provincia di Castiglia e Leon, questa piacevolissima cittadina, posta ai piedi della Cordigliera Cantabrica, conserva ricordi storici importanti, ricca di monumenti romani e medievali, e l'antica tappa del "Camino de Santiago”. La sua importanza inizia come insediamento della VII Legio (da cui il nome León) fra il 68 e il 70 d.C., come capitale militare della Hispania Romana. Nel 910, nella fase della Reconquista, guidata all'inizio da alcuni re goti cristiani come il mitico Pelagio, venne costituito il Regno di León, uno dei regni più importanti dell'Europa medievale. Proprio qui, nacque la forma di parlamento moderno, dove i nobili, il clero e il popolo insieme con il re si riunirono per la prima volta in Europa, e tante altre cose ancora. Bellissima la Cattedrale (poteva essere diversamente?), anche se in parziale ristrutturazione. Piacevolissimo è camminare per la via centrale, coloratissima, che coincide con la direttrice per il Cammino di Santiago, dove i molti pellegrini battono il selciato con l’abbigliamento più disparato, tra la spossatezza, la sete, l’emozione, la solidarietà, la sfida... A modo nostro li accompagniamo per un breve tratto, soffermandoci a godere del clima meraviglioso; della gente, così genuina, nostrana nel loro zig-zagare per i banchi del mercato affollato e ricco; dei monumenti.Anche qui, non veniamo smentiti dalla bellezza del luogo.













































ASTORGA
Capitolo 11 Paragrafo 1
Piccola città ma con una storia interessante, una storia “in cammino”. Innanzi tutto è famosa, assieme ad alcuni paesi circostanti, per essere la patria dei MARAGATOS, un gruppo etnico la cui origine è ancora oggetto di dibattito. C’è chi li vuole discendenti dei Mori, chi dei Visigoti, chi degli Suevi e addirittura chi dei Fenici. Senza saperlo, ci siamo imbattuti nella processione, tutta Maragata, dedicata a Santa Marta, patrona della città, che inizia proprio oggi, 20 agosto, e dura tutta la settimana. Non molto dissimile dalle tante processioni del nostro sud Italia, così affollate, colorate e calorose (da ogni punto di vista). Ci aggreghiamo per fare alcuni scatti, mentre ci godiamo la musica della banda (questa sì diversa e più allegra) finendo nella affollatissima Plaza Mayor: molto bello, nonostante tutto. Bellissima la Cattedrale e il suo retablo, immancabile. L’orologio posto nella parte alta del Municipio collocato nella Plaza Mayor batte le ore grazie a due figure: maragatos, ovviamente! Da qui passa il Cammino di Santiago (tappa importante prima di affrontare le montagne, poco distanti a ovest). Qui mise la prima pietra Augusto, e nientemeno Plinio il Vecchio la citò come splendida città. Si narra che gli abitanti di Leon dicano di Astorga come una città dove “ci sono solo preti, soldati e meretrici (termine edulcorato)”. Noi non abbiamo visto nessuno di questi.
Sui Maragatos ci ritorneremo più avanti, relativamente alla loro gastronomia. Stay tuned!
Sui Maragatos ci ritorneremo più avanti, relativamente alla loro gastronomia. Stay tuned!






















MARAGATOS
Capitolo 11 Paragrafo 2
Il primo approccio appena vissuto con la tradizione maragata ci incuriosisce e, indagando, scopriamo che la zona ovest subito intorno ad Astorga è il fulcro di questo gruppo etnico. Inoltre, leggiamo su alcune locandine poste al di fuori di alcuni ristoranti cittadini, di specialità culinaria maragatos. Spinti dalla curiosità e dalla fame, ci portiamo fuori città per entrare nel cuore del loro territorio, relativamente vasto ma incredibilmente a bassa densità abitativa e commerciale; pressoché inesistente l’industria. Un fascino irresistibile. Ci spostiamo verso Santiago Millas. Un deserto totale. Sembra completamente disabitato. Chiediamo di pranzare a un locale, ma la cucina oggi è chiusa. La vedo dura. Non ci scoraggiamo; poco più avanti, in uno spiazzo, qualche auto. Notiamo un ingresso anonimo, senza alcun richiamo colorato, ridondante delle città; ci affacciamo: un ristorante funzionante! Chiediamo due posti: nessun problema. Menù? Solo COCIDO; il ristorante serve solo e unicamente questa pietanza tipica del posto. Decidiamo di provarlo. Fotografiamo la ricetta a ricordo e per sapere cosa ci aspetta. Siamo in piena estate! Lo gustiamo, nonostante tutto. Lo devo ammettere: i gusti sono un po’ forti per i soliti stomaci “cittadini”; mi sembra di assaggiare qualcosa di tipico, ma poco diffuso, del nostro meridione, Puglia in particolare, sebbene preparato per l’inverno. Qualcosina la lasciamo, proprio “non scende”. Ad ogni modo, a parte i propri gusti, il cibo è assolutamente genuino e non abbiamo avuto nessuna conseguenza digestiva. Ah! Manca il dolce; tipico anche questo. Un amaro potente, locale, a mò di “Mister Muscolo”, agevola la catalizzazione di questi piatti alchemici. Un po’ appesantiti, lasciamo i Maragatos e le loro tradizioni per continuare il nostro giro. BLURP!!!












PONFERRADA - EL CAMINO
Capitolo 11 Paragrafo 3
Percorriamo strade secondarie completamente deserte, incrociando più volte il tracciato del Cammino di Santiago. E non poteva esserci passaggio più affascinante, più solitario, più contemplativo per arrivare a Compostela. Non è dei più facili. Proprio qui, da Astorga fino a Ponferrada, c’è uno dei tratti più impegnativi del Cammino, insieme a quello iniziale sui Pirenei. Pellegrini affaticati, sudati, arrossati dal sole, ma soprattutto dallo sforzo fisico, camminano ora sul ciglio della strada ora su sentieri impolverati. Arriviamo così a Foncebadon, una delle più importanti tappe di sosta. Infatti si trova posizionata in una zona alta del Cammino, dopo un faticoso percorso tutto in salita, attrezzato di rifugi, punti di ristoro, ostelli e tutto ciò di importante per rigenerarsi e riposarsi. Ne approfittiamo anche noi, non solo per concederci una sosta e fare qualche scatto, ma soprattutto per berci una Cola e sciogliere gli ultimi residui del Cocido. La locanda è un via vai continuo di pellegrini di tutte le nazionalità. Una Babele cacofonica invade il locale; scambiamo qualche parola con degli italiani che ci raccontano le loro impressioni, le loro fatiche, la loro sfida. Saliamo verso la Croce di Ferro, sosta obbligata per lasciare un pensiero, un oggetto, un messaggio. Forse il miglior “social” per chi ha voluto cimentarsi in questa esperienza. Proseguiamo sulla LE-142 verso Ponferrada. Il sole è forte, ma la brezza delle montagne rende il tutto molto piacevole. Nella discesa ci godiamo questo panorama incontaminato, dove tutto sembra essersi fermato nel tempo, compresa El Acebo de San Miguel e i suoi abitanti, tranquillamente seduti sui loro usci, direttamente sulla statale. Con tutte le dovute cautele oltrepassiamo il paesino e ci avviciniamo alla città in basso, in un catino infernale: sono le quasi le 20 e il termometro oscilla tra i 38° e i 40°. Non un filo d’aria; asfalto e terreno restituiscono implacabilmente il calore accumulato. Ponferrada è una città giovane e in crescita. Non offre moltissimo a livello artistico e storico, tranne per il suo bellissimo castello templare, l’attraente Basilica del la Virgen de Encina e il delizioso centro storico con i suoi palazzi, le sue vie e la Torre dell’Orologio. Si è fatto tardi. Si ritorna a Leon.





















GIJON
Capitolo 12 Paragrafo 1
Oggi ci concediamo una giornata di relax passandocela al mare e decidiamo di farlo nella vicina Gijon. Da Leon sono 150 km circa, sia via autostrada che via statale, ma scegliamo la seconda per goderci con calma il paesaggio, memorizzandone i punti per il ritorno. Davvero aspre queste Asturie, le cui conformazioni rocciose quasi si spingono direttamente sul mare, lasciando poco spazio disponibile. Cercando un paragone nostrano, potremmo trovare delle similitudini geografiche con la Liguria. Come ci aspettavamo, la zona è decisamente più affollata, e non mancano lievi code per raggiungere il centro, e in particolare un parcheggio a pagamento, vista l'impossibilità di trovare posteggio alternativo; in particolare, questo, è a ridosso della enorme spiaggia cittadina, la Playa de San Lorenzo. Siamo a metà mattinata e c'è ancora poca gente. Troviamo un posto vicino al muro per avere la possibilità dell'ombra all'occorrenza. Dopo pochi minuti si alza un vento sostenuto decisamente fresco; Daniela riesce a farsi giusto una nuotata mentre io desisto e anzi decido di girare per il centro, lì a due passi, facendo qualche scatto, sebbene non trovo nulla che susciti qualcosa di importante da fotografare: mi limito a qualche scatto da cartolina, a ricordo del passaggio. Vago per il Cerro de Santa Catalina, promontorio della città, dove si trovano i resti della Bateria de Santa Catalina, parte di un ampio progetto di difesa del 1904. Una struttura simile l'ho vista a Copenhagen, costruita anche questa per lo stesso principio di difesa. Sempre qui, è stato recentemente inaugurato il grande monumento dello scultore basco Eduardo Chillida intitolato "Elogio del Horizonte", e da dove si può ammirare un ampio panorama sulla baia. A prima vista sembra un edificio diroccato o non terminato nella sua costruzione, anomino; quando scopro essere un'opera e con quel titolo, la capisco ancora meno. Butto un'occho sulla baia e noto che il mare sta avanzando. Incerto, scorro le prime immagini fatte al massimo due ore prima, e mi rendo conto di quanto si sia alzato il livello del mare. Decido di tornare da Daniela. Anche lei vede che prima la linea era un po' più lontana, ma, essendo al livello del mare, non si rende conto della grandezza del fenomeno. Con calma raccogliamo la roba e ci prepariamo a cercare un locale per pranzare, indicandole alcuni visti prima durante la mia "missione esplorativa". Mentre ci allontaniamo teniamo sempre d'occhio il mare che avanza sensibilmente. Pranziamo e giriamo per il centro. Non c'è altro di interessante, e nemmeno ci preoccupiamo di cercare perchè abbiamo un testa la visita di Oviedo. Una foto a "Casa Paquet", con il suo spigolo arrotondato (tecnicamente, raccordato); l'originalissimo albero del sidro (Arbol de la Sidra); la statua di Pelayo, che incontreremo più avanti e che qui vi nacque, artefice della prima fase della Reconquista grazie a una vittoriosa battaglia contro gli arabi nel 722. L'interessante barocco Palacio de Revillagigedo del 1704. Un ultimo sguardo alla baia: sono circa le 1630 e il mare ha letteralmente preso il posto della spiaggia, letteralmente inghiottita. Sembra un altro posto, una trasformazione radicale del territorio quasi irriconoscibile, ma con un fascino tutto suo. Di Gijon conservo questa ultima immagine.

















OVIEDO
Capitolo 12 Paragrafo 2
Lasciamo quindi Gijón per fare una visita alla vicina Oviedo, e in particolare la sua Cattedrale che conserva il Sudario (o Telo) di Oviedo. La città si presenta adagiata nella zona collinare compressa tra la costa e le aspre montagne asturiane, sufficientemente lontana dal mare per non risentire più della brezza marina mitigatrice, ma sufficiente per creare un ambiente caldo afoso. Fortunatamente la giornata tersa e il pomeriggio inoltrato ci alleviano da questa situazione climatica. Un po’ come Gijon anche qui facciamo fatica a trovare un parcheggio comodo, ma almeno in questo la fortuna ci assiste mettendocelo a disposizione poco distante dall’ingresso del centro storico. Una bellissima luce dalle tonalità calde comincia a calare sulla città, mettendo in risalto le colorazioni tipiche degli edifici. Imbocchiamo la pedonale Calle Magdalena che ci porterà direttamente alla Cattedrale. Incrociamo la bella Plaza de la Constitución, che accoglie il Municipio della città (l’Ayuntamiento) e la Chiesa di Sant’Isidoro, purtroppo chiusa. La via continua al di sotto del municipio tramite una arcata, e diventa Calle Cimadevilla. Arriviamo quindi in Plaza Alfonso II el Casto, dove, al fondo, maestosa si erge la cattedrale del Santo Salvatore. In prevalenza di stile gotico, contiene elementi di altri stili quali il romanico, pre-romanico e barocco. Venne costruita a partire dal XIII secolo su di una precedente chiesa dell'VIII secolo. È famosa per conservare nell'attigua cappella di san Michele, detta Cámara Santa in stile preromanico, un telo di lino noto come Sudario di Oviedo, la cui tradizione dichiara aver avvolto il capo di Gesù dopo che questo fu tolto dalla croce. Il C14 lo data intorno al 780 d.C., periodo in cui fu tenuto a Toledo, e anche qui, come per la nostrana Sindone, si sono create le fazioni tra i sostenitori e i detrattori della veridicità della reliquia. Immancabile il retablo, imponente come molti altri già visti in Spagna, ma nel suo complesso la Cattedrale non è ad alti livelli storici, architettonici. Nulla da disdegnare, ma non regge il confronto con le tante altre visitate. Finita la visita, torniamo sui nostri passi passando nuovamente davanti la Chiesa di Sant’Isidoro nella vana speranza di trovarla aperta. Costeggiamo il coperto Mercado El Fontan, chiuso, ma intorno al quale troviamo una notevole attività cittadina, forse stimolati dall’aria più mite. Molto bella la Plaza del Fontan, una sorta di cortile interno di un precedente palazzo nobiliare, circondato da attività commerciali. Non da meno la adiacente, ma esterna, Plaza Daoiz y Velarde, dalla quale si ha l’idea dell’edificio che contiene Plaza del Fontan. Lasciamo Oviedo per tornare a Leon passando per la stessa statale fatta in mattinata per l’andata. I punti panoramici memorizzati, adesso, ci offrono un meraviglioso tramonto che non ci lasciamo scappare.




























BURGOS
Capitolo 13 Paragrafo 1
Commenta il viaggiatore e ambasciatore veneziano a Madrid Andrea Navagero nel 1526: “Vivono in bellissime dimore e con tutti gli agi, sono le persone più cortesi che io abbia incontrato in Spagna”. In effetti anche noi abbiamo questa impressione mentre ci avviciniamo al centro più prossimo alla Cattedrale, osservando l’insieme dei suoi bellissimi edifici. Siamo in una tappa di trasferimento da Leon verso Santander e una sosta qui, seppur breve, è d’obbligo. Un detto cita “nueve meses de invierno, tres meses de infierno”. Ci sembra strano sia così, visto il clima bellissimo che incontriamo, ma scopriamo che i suoi inverni sono molto freddi e nevosi, con temperature minime che talvolta arrivano a -10 °C, accompagnati spesso da abbondanti nevicate, talvolta anche fino alla primavera. Pare che sia tra le città più antiche d’Europa: esistono, all'interno delle mura dell'attuale castello, prove di un insediamento umano già dal neolitico (4500 a.C.) e nella prima età del ferro (850 a.C.). Fu senza dubbio fondata dal conte Diego Rodriguez "Porcelos" nell'884, su ordine di Alfonso III, nel tentativo di frenare l'avanzata saracena. L'origine della città è, pertanto, militare. Burgos è stata lo scenario di molti conflitti: le guerre moresche, i combattimenti tra León e Navarra, e quelli tra Castiglia e Aragona. È poi diventata teatro di una battaglia in periodo napoleonico e ancora nel XIX secolo.
Durante la Guerra civile spagnola Burgos era la base del Governo franchista: la spiccata attitudine conservatrice della cittadinanza trovava, nel regime, il suo terreno adatto. Visto il tempo a disposizione, dobbiamo limitarci alla visita della sua rinomata Cattedrale. Non si può non vederla con le sue guglie gotiche che si innalzano sulla città. Notevole è la somiglianza con la cattedrale di Colonia, e non è un caso. La costruzione, avviata nel 1221, fu voluta da Fernando III e sua moglie, Beatrice di Svevia, con la supervisione del vescovo Maurizio. A questi, fanno parte del progetto Gil e Diego de Siloè e Hans di Colonia. Famosissimo il suo Cristo, la cui narrazione la rimando al seguente link: Cristo di Burgos, dove troverete una storia incredibile. In un ambiente così austero, fa specie vedere la figura leggera e strana di Papamoscas che batte le ore con sorriso beffardo. Al pari di altre altre cattedrali spagnole, il meraviglioso coro resta separato, e dove trovano posto il fantastico retablo e, al centro, una lastra un po’ anonima che raccoglie le spoglie di El Cid e sua moglie Dona Jimena. L’intricato intaglio ligneo del coro stesso, ma comunque elegante, ospita le spoglie del vescovo Maurizio, già citato. Molto bella la Capilla de los Condestables che ospita i sepolcri in alabastro di Don Pedro Fernandez e sua moglie, circondati da stupende opere in pietra e tre retabli. Per l’uscita si passa dal museo, posto sul piano superiore del chiostro. In alto, nella sala capitolare, è appesa una valigia che fu del Cid; probabilmente la stessa che utilizzò, piena di sabbia invece che oro, per pagare un mercante ebreo. Usciamo da questa ulteriore bellezza storico-architetettonica per cercare un posto dove si posso mangiare qualcosa di esclusivo. Lo troviamo proprio sulla scalinata di salita per accedere alla Iglesia de San Nicolas, e precisamente al ristorante La Cueva, tipico castigliano, accompagnati da vini notevoli. Ben soddisfatti, procediamo per la visita della Chiesa di San Nicola di Bari. Davvero piccola, in realtà è un vero e proprio gioiellino! Merita la visita. Il suo retablo è a dir poco stupefacente e raffigura tanti personaggi da sembrare scene di vita di città. Al centro è posta la statua del Santo, mentre in alto, trova posto Maria circondata a 360° da innumerevoli angeli. Merita menzione anche un dipinto fiammingo con demoni e San Michele che regge una bilancia. Lasciamo la interessante Burgos con le tante altre cose da scoprire e che purtroppo non possiamo concederlo per motivi di tempo. La nostra direzione è Santander, o meglio, Vargas, dove abbiamo prenotato per questa tappa successiva. Per curiosità e per spezzare il viaggio, ci fermiamo nella Palude dell’Ebro, da dove ammiriamo un bellissimo paesaggio.
Durante la Guerra civile spagnola Burgos era la base del Governo franchista: la spiccata attitudine conservatrice della cittadinanza trovava, nel regime, il suo terreno adatto. Visto il tempo a disposizione, dobbiamo limitarci alla visita della sua rinomata Cattedrale. Non si può non vederla con le sue guglie gotiche che si innalzano sulla città. Notevole è la somiglianza con la cattedrale di Colonia, e non è un caso. La costruzione, avviata nel 1221, fu voluta da Fernando III e sua moglie, Beatrice di Svevia, con la supervisione del vescovo Maurizio. A questi, fanno parte del progetto Gil e Diego de Siloè e Hans di Colonia. Famosissimo il suo Cristo, la cui narrazione la rimando al seguente link: Cristo di Burgos, dove troverete una storia incredibile. In un ambiente così austero, fa specie vedere la figura leggera e strana di Papamoscas che batte le ore con sorriso beffardo. Al pari di altre altre cattedrali spagnole, il meraviglioso coro resta separato, e dove trovano posto il fantastico retablo e, al centro, una lastra un po’ anonima che raccoglie le spoglie di El Cid e sua moglie Dona Jimena. L’intricato intaglio ligneo del coro stesso, ma comunque elegante, ospita le spoglie del vescovo Maurizio, già citato. Molto bella la Capilla de los Condestables che ospita i sepolcri in alabastro di Don Pedro Fernandez e sua moglie, circondati da stupende opere in pietra e tre retabli. Per l’uscita si passa dal museo, posto sul piano superiore del chiostro. In alto, nella sala capitolare, è appesa una valigia che fu del Cid; probabilmente la stessa che utilizzò, piena di sabbia invece che oro, per pagare un mercante ebreo. Usciamo da questa ulteriore bellezza storico-architetettonica per cercare un posto dove si posso mangiare qualcosa di esclusivo. Lo troviamo proprio sulla scalinata di salita per accedere alla Iglesia de San Nicolas, e precisamente al ristorante La Cueva, tipico castigliano, accompagnati da vini notevoli. Ben soddisfatti, procediamo per la visita della Chiesa di San Nicola di Bari. Davvero piccola, in realtà è un vero e proprio gioiellino! Merita la visita. Il suo retablo è a dir poco stupefacente e raffigura tanti personaggi da sembrare scene di vita di città. Al centro è posta la statua del Santo, mentre in alto, trova posto Maria circondata a 360° da innumerevoli angeli. Merita menzione anche un dipinto fiammingo con demoni e San Michele che regge una bilancia. Lasciamo la interessante Burgos con le tante altre cose da scoprire e che purtroppo non possiamo concederlo per motivi di tempo. La nostra direzione è Santander, o meglio, Vargas, dove abbiamo prenotato per questa tappa successiva. Per curiosità e per spezzare il viaggio, ci fermiamo nella Palude dell’Ebro, da dove ammiriamo un bellissimo paesaggio.





















































EL CASTILLO
Capitolo 14 Paragrafo 1
La mattina non promette nulla di buono. Il cielo plumbeo, a tratti piovoso con fastidiosa brezza, ci fa desistere da qualsiasi tentativo di stare in spiaggia, io in particolare. L’alternativa? Un posto coperto, possibilmente a temperatura costante. Queste sono condizioni tipiche delle grotte e qui ve ne sono davvero tante, abitate fin dagli albori della comparsa dell’uomo. Quella che andiamo a visitare è la Cueva de el Castillo. Scoperta nel 1903, l’interno della cavità è un vero e proprio riferimento storico, una delle più significative collezioni di arte rupestre paleolitica in Europa. Le numerose incisioni, disegni e dipinti, sculture con rilievi naturali, rappresentano una sorta di mostra artistica lunga almeno 18.000/20.000 anni a partire da circa 40000 anni fa, poiché contiene quasi tutti i temi, le tecniche e gli stili artistici eseguiti dal primo Homo sapiens. Si può dire che praticamente tutte le pareti della grotta sono state antropizzate. Tra le rappresentazioni, spiccano cavalli, bisonti, cervi, uros, cervi, capre, mammut, formano il bestiario degli animali che convivono con l'uomo. Segni, forme geometriche o astrazioni sono abbondanti. Spiccano le cosiddette nuvole di punti e le forme rettangolari, molte delle quali complesse nella loro composizione a causa di segmentazioni e riempimenti interni. Purtroppo non è consentito fotografare le pitture rupestri, anche senza flash e mi limito solo a qualche scatto possibile. L’ambiente circostante sembra essere di un altro paese europeo, più vicino alla Svizzera, con i suoi ordinati prati verdi, le sue colline e la natura così rigogliosa; la Spagna che abbiamo visitato sin d’ora sembra essere lontanissima.










SANTILLANA DEL MAR
Capitolo 14 Paragrafo 2
Bellissimo borgo sulla costa cantabrica, con nobili palazzi, con una famosa Collegiata e, a meno di due chilometri dal centro della città, con la celebre grotta di Altamira. Scherzosamente si dice in Spagna che è la città delle tre bugie perché scomponendo il nome non è santa (santi), non è piana (llana) e non ha il mare perché è senza spiagge nel territorio comunale. La grotta con pitture rupestri di Altamira ed altre grotte attestano che in Cantabria e, in particolare nella zona dove oggi si trova Santillana, durante il Paleolitico e nei periodi successivi vi fu presenza umana. I primi insediamenti umani stabili furono dei popoli iberici-liguri che si fusero con i Celti nell'VIII sec. a.C. I Romani, che erano sbarcati in Spagna nel 218 a.C., trovarono tenace opposizione proprio dai popoli cantabrici, favoriti anche dall'asperità del terreno, e dovettero passare due secoli prima che la conquista fosse completata, costringendo i Romani a combattere la guerriglia nelle guerre cantabriche che durarono dal 29 al 19 a.C. L'occupazione romana durò fino al 419, dopo di che arrivarono i Visigoti, gli arabi e, come già accennato, proprio da questa regione partì, nel 722, il primo atto di Reconquista. La troviamo abbastanza affollata e facciamo fatica a trovare un parcheggio. A una attenta osservazione, sembra un po' fuori luogo se confrontata con la Spagna che abbiamo appena conosciuto, e in parte è vero vista la storia "parallela" dei paesi baschi, ma, al di là di tutto, ha un fascino notevole che nemmeno il tempo in procinto di piovere riesce a smorzare. Se poi si aspetta l'ora blu... Purtroppo la Collegiata di Santa Juliana la troviamo già chiusa, ed è un peccato perchè ci è risultata essere una chicca storico/architettonica. Quindi, facciamo visita al museo della tortura, quasi un accessorio indispensabile a ogni borgo medievale che si rispetti, e i cimeli (e/o riproduzioni) sono quasi sempre gli stessi. Evidentemente il marchio di fabbrica del periodo dell'Inquisizione dette precise indicazioni nella progettazione di questi "utensili". Una sosta in uno dei tanti dehor del borgo per gustare un sidro "a pompa" e gli immancabili tapas. Adesso possiamo tornare in Hotel.























COVADONGA
Capitolo 15 Paragrafo 1
Il giro programmato per oggi sarà lungo e tortuoso, dal momento che attraverseremo i Picos delle Asturie, percorrendo la AS-114 e la N-621, nella zona dove si incrociano tre regioni: Castilla-Leon, Asturie e Cantabria. Prima tappa a Covadonga, un paese di poche case tutte nate intorno alla caverna, dove giacciono le spoglie di Pelayo, quasi meta di pellegrinaggio (e infatti troviamo una certa coda), e la basilica che svetta su tutto, al cui interno c'è anche una copia della croce vittoriosa forgiata da Pelayo per commemorare la vittoria. Spicca, imponente, la statua di questo capo asturiano, ricordato, e quasi venerato, come il condottiero che ha saputo dare una prima seria sconfitta all'esercito dei Mori, ormai padroni della penisola, proprio qui, il 28 maggio 722 d.C., e quindi darla come inizio della Reconquista, che avvenne, comunque, 800 anni più tardi. Bè, un po' azzardato etichettarlo come eroe nazionale, visto che in quegli 8 secoli tantissime altre battaglie si sono succedute e mille cose successe; non dimentichiamoci che esattamente 10 anni dopo, gli stessi Mori subirono una sconfitta memorabile a Poitiers, in Francia, e proprio l'esito di questa battaglia ha cambiato le sorti dell'Europa a venire. Molto probabilmente è proprio quest'ultima a dare inizio alla Reconquista, ma si sa, gli orgogli nazionali sono metastorici... Autobus di pellegrini, turisti, visitatori cominciano a prendere d'assedio il posto. È meglio andare via prima di rimanere imbottigliati in imprevedibili ingorghi. Preferiamo la bellezza delle montagne e delle vallate mentre ci portiamo verso la seconda tappa di oggi.













POTES - Monasterio dI San Toribio dI Liébana
Capitolo 15 Paragrafo 2
Raggiungiamo la piccola cittadina di Potes sul lato di una collina del Río Deva, con vie acciottolate e alcune costruzioni nobiliari di pietra. Il più notevole di questi è una grande torre, somigliante a un forte medioevale, ma costruito come casa del Marchese di Santillana nel XVI secolo, oggi sede del municipio. Fa da base per tutta questa parte dei Picos, e annotiamo come si formi una coda continua di automobili lungo il centro, unica via di transito. Proseguendo sulla statale, verso Fuente Dè, si trova un monastero di grande importanza, il Monasterio de Santo Toribio de Liébana, famoso per due motivi. Il primo é che qui l'abate Beatus de Liébana ha scritto i suoi commenti apocalittici sul libro di San Giovanni, e lo stupore dei lettori fu tale che, temendo ulteriori invasioni dei Mori, credevano che il millennio prossimo a venire portasse l'Anticristo. Di questi manoscritti ne restano solo 22: uno è conservato qui, ma non a disposizione del pubblico; un altro, quello di Burgo de Osma è stato descritto come "il libro più bello del mondo". Il nostro Umberto Ecousò questi manoscritti come riferimento per il suo capolavoro "Il nome della rosa". L'altro motivo di interesse è chiuso a chiave in una cappella laterale fuori dalla chiesa principale. Si tratta del più grande frammento della Vera Croce, un pezzo di legno di cipresso 63 x 40 cm. con un foro di chiodo, incastonato in un crocifisso gotico d'argento.












CHIESA dI Santa María DI Lebeña
Capitolo 15 Paragrafo 3
Riprendiamo la via del ritorno e usciamo dalla statale per prendere Lebeña, dove c'è una bellissima chiesa: la Iglesia de Santa Maria de Lebeña. Incastonata in un magnifico contesto roccioso, questo gioiellino fu fondato nel X Sec. il cui interno è mozarabico in uno spazio semplice e bello. Notevole è l'altare in pietra, intagliato con un simbolismo tipicamente visigoto. L'ingresso è limitato e guidato. Assistiamo alla affascinante arte oratoria nel raccontare la storia di questa chiesa da parte della guida, la quale, però, ci esorta altresì a non fare foto. Non resito davanti a questa bellissima arte e azzardo giusto due foto ricordo, tecnicamente orribili, ma almeno mi restano nella memoria.









COMILLAS
Capitolo 15 Paragrafo 4
Usciamo dalla chiesa di Lebeña che non è ancora tardi per fare un passaggio sulla costa e visitare Comillas, che raggiungiamo dopo aver attraversato la perennemente annebbiata cittadina turistica di San Vincente de la Barquera. Attraversando un lungo ponte che permette di oltrepassare un tratto di mare che si allunga nell’entroterra, troviamo uno spiazzo per parcheggiare e provare a fare qualche scatto nonostante la giornata proibitiva: ci abbiamo provato. Ci sembra lontanissima nello spazio e nel tempo (atmosferico) la Spagna cui siamo soliti pensare. Impensabile un bagno. Arriviamo a Camillas, una spiaggia alla moda che è stata frequentata da turisti benestanti per più di un secolo. Merita una visita per la sua architettura, fuori dall'ordinario per una città di mare estiva. Abbastanza affollata, giriamo per cercare parcheggio e notiamo i molti edifici modernisti che fanno bella mostra di sé sulle colline intorno. Sono un'eredità degli architetti catalani, incaricati dagli aristocratici locali. L'architettura più insolita della città si trova nel El Capricho di Gaudí. A quest'ora è chiuso, e azzardiamo la ricerca di uno spiraglio attraverso la muraglia che lo cinge per dare uno sguardo ed eventualmente fare qualche scatto: il risultato è quello che vedete. Rivestito con mattonelle verde intenso e gialle e adornato con i girasoli mediterranei, presenta la sua caratteristica migliore con una torre bizzarra, una fantasia musulmana ornata con un balcone. Accanto alla tenuta del Capriccio, il Palacio de Sobrella commissionato dal Machese Comillas. Di fronte si trova la Universidad Pontificia, costruita come scuola di teologia in stile avanguardista. La costruzione ora è oggetto di vari programmi per il futuro e non è aperta al pubblico. Andiamo in centro, dove domina La Plaza de la Constitución che con i suoi ciottoli è bella, con favolosi balconi e costruzioni rustiche, oltre che il vecchio municipio e la sua chiesa.
















VITORIA-GASTEIZ
Capitolo 16 Paragrafo 1
Lasciamo di buonora Vargas, dove abbiamo alloggiato per tre notti, e passiamo alla successiva tappa: Pamplona. Prima, però, facciamo sosta a Vitoria-Gasteiz, città di passaggio, che raggiungiamo dopo aver percorso la panoramica statale N-240, che taglia il Parco Naturale Urkiolako. Questa fu fondata nel 1181 dal Re di Navarra Sancho VI il Saggio con il nome di Nueva Vitoria, e venne costruita accanto al villaggio di Gasteiz, fondato dai visigoti nel 581. La città è divisa in due parti: quella antica in alto sulla collina con il suo bel centro storico, e quella moderna in basso: naturalmente ignoriamo la seconda. Divisione che si vede anche nel carattere: il centro storico è di dominio della vivace gioventù basca mentre la città nuova ospita i tranquilli spagnoli di mezza età. Riusciamo a parcheggiare nell’unico posto disponibile nella parte alta, e con grande fortuna, visto che è davvero piccolo e approfittando dell’uscita di un’auto, liberando un posto. Ci avviamo quindi verso la Cattedrale, ancora in ristrutturazione e limitata negli accessi: bisogna attendere le 16 per la prossima apertura. Cincischiando un po’ nella piazza, notiamo l’arrivo di gente di colore, tutta ben vestita: scopriamo di un imminente matrimonio nella adiacente chiesetta. Bighellonando nei pressi e facendo giusto una foto alla statua di Ken Follett, e ai resti delle vecchie cinte murarie (ora tatzebao), ci concentriamo su questo evento, e partecipiamo anche noi alla funzione. I riverberi cromatici interni dati dai rosoni sono spettacolari, donando alla cerimonia una atmosfera del tutto particolare, esaltando quei colori sgargianti dei vestiti degli invitati. Stupefacente il duo canoro, commovente in alcuni momenti. Finita la festa, abbastanza sobria nella sua uscita, imbocchiamo via Fray Zacarias Martines dove, a un incrocio, prendiamo una scala mobile che conduce in basso, quasi di fronte alla Chiesa di San Pedro. Proseguiamo, quindi, per la colorata via Errementari, piena di attività commerciali, e confluire in Piazza Virgen Blanca. Molto bella, un po’ diversa dalle piazze spagnole fin qui visitate, ma ci troviamo “quasi” in Spagna. I palazzi che qui si affacciano, come quelli di alcune vie laterali, dispongono tutti di bovindi o di verande colorate di bianco, forse per ricordare il nome della piazza. In centro, la battaglia vinta contro l’esercito napoleonico. Puntiamo alla adiacente Plaza de Espana, che parrebbe molto bella, peccato per la presenza di palchi, gli innumerevoli palchi estivi, per le feste dei turisti. E perché non farle altrove queste feste? Saliamo la scalinata per incontrare la chiesa di San Miguel che si staglia come un guerriero a difesa dell'ingresso al Casco Medieval. Due archi aperti indicano il portale decorato da splendide incisioni, dove una nicchia accoglie la santa patrona della città, appunto la Virgen Blanca, una statua colorata del periodo tardo gotico che, dall’alto osserva la piazza in suo onore. Poco visibile, sulla sua testa, si nota con qualche difficoltà la statuetta di San Michele. Nel giorno dedicato alla santa, 5 agosto, un gruppo di cittadini porta la statua di Celedón (un contadino stilizzato) dalla cima del campanile alla piazza.
Poco più avanti, si arriva alla bella Plaza del Machete, chiamata così perchè i funzionari cittadini entranti giuravano un patto di fedeltà su una copia dei Fueros (statue cittadine) e un machete, in questo caso una sciabola militare. Riprendiamo il cammino per Pamplona.
Poco più avanti, si arriva alla bella Plaza del Machete, chiamata così perchè i funzionari cittadini entranti giuravano un patto di fedeltà su una copia dei Fueros (statue cittadine) e un machete, in questo caso una sciabola militare. Riprendiamo il cammino per Pamplona.









































PAMPLONA
Capitolo 16 Paragrafo 2
In realtà, Pamplona è stata scelta più come tappa intermedia per spezzare il lungo tragitto verso casa, che non una visita vera e propria. Certo, si potevano scegliere altri posti, più prossimi a Torino, ma non potevo mancare questa occasione. Tra l’altro non è nemmeno lontana da Vitoria, appena lasciata, e comunque passaggio obbligato sull’itinerario di ritorno. Raggiungiamo l’albergo nel tardo pomeriggio sotto un sole davvero cocente; il tempo di fare una doccia, cambiarci e prepararci, che ci portiamo sulla parte alta della città, dove c’è il Casco Historico. Fu colonizzata dai baschi, che la chiamarono Iruña/Iruñea (da cui il doppio nome), ma la vera e propria fondazione della città fu opera del generale romano durante la sua campagna militare contro Quinto Sertorio: Pompeo che le diede il proprio nome. Dopo un periodo di dominio visigoto, fu conquistata dai Mori nel 711. L’ascesa di Pamplona a un ruolo prominente avvenne quando la Navarra fu conquistata dalla Castiglia: re Fernando costruì le mura della città e la nominò capoluogo della provincia. Saliamo lungo le antiche mura e cominciamo a percorrere il bel centro, in direzione Cattedrale. Incontriamo subito la Iglesia de San Saturnino da Tolosa, patrono della città. Una breve visita, alcuni scatti e ci portiamo nella Plaza Consistorial, dove è presente il barocco Ayuntamiento. Qui, la folla si accalca per il “via!” di Los Sanfermines, meglio nota come corsa dei tori che dura nove giorni, la più grande festa d’Europa, la cui vera e celeberrima attrattiva sono gli encierros (corse davanti ai tori), dove ogni anno conta feriti gravi se non addirittura dei decessi. Incredibile come la popolazione mista di turisti e abitanti, letteralmente, si lasci trascinare dall’euforia per l’evento, permettendosi licenziosità , sregolatezze e atteggiamenti al limite, altrimenti non permessi in altri momenti o in altri luoghi. In questo periodo i prezzi triplicano e trovare una sistemazione è cosa ardua! La parte tranquilla e apparentemente deserta della città è dominata dalla cattedrale, in zona quasi defilata. Non lasciatevi intimorire dalla facciata piuttosto austera del XVIll secolo perché l'interno è un capolavoro di delicata arte gotica. La scelta del luogo in cui sorge la Cattedrale non fu casuale: ciò avvenne nel punto preciso in cui si incrociavano il cardo e il decumeno, le due vie principali romane, e dove sorgeva già un tempio pagano. Tuttavia, prima della Cattedrale, c’erano altre chiese fin dal sesto secolo dopo Cristo. Il nucleo principale del nuovo luogo di culto sorse agli inizi del dodicesimo secolo. Suggestivo il presbiterio che ospita la Santa María del Sagrario, conosciuta anche come Santa María la Real e Santa María de Pamplona, una scultura in stile romanico del 12 ° secolo. Al centro, il mausoleo di Carlo III il Nobile e Leonora de Trastámara, realizzato in alabastro e marmo nero da Jehan Lome de Tournay tra il 1413 e il 1419. Usciamo tornando di nuovo all’Ayuntamiento per percorre, nella più assoluta tranquillità, lo stesso tragitto degli encierros, raggiungendo, nella parte alta, la Plaza de Toros. Ovviamente non mancano stele o statue a ricordare il personaggio più famoso della città, dal momento che egli stesso l’ha resa famosa: Ernest Hemingway. Suggestiva e molto esaustiva, la scultura dedicata proprio all’encierro, in scala 1:1. Passiamo per la piazza principale, grande ed elegante e geometricamente perfetta, ovvero Plaza del Castillo. Rifacciamo, a ritroso, lo stesso percorso, approfittando di una bellissima “luce blu” per fare degli scatti interessanti. Mestamente, ci avviamo verso l’albergo: questa è l’ultima notte che passeremo in terra iberica. L'università di Navarra a Pamplona, privata e appartenente all'Opus Dei, è stata fondata dal discusso Josemaría Escrivá de Balaguer, santificato da papa Giovanni Paolo II, e a sua volta fondatore dell'ordine.




































RONCISVALLE
Capitolo 17 Paragrafo 1
Partiamo presto da Pamplona: 1100 km ci separano da casa, che speriamo di raggiungere possibilmente in tempi non biblici. Il percorso segue, a ritroso, il primo tratto del Camino di Santiago, e attraversa Roncisvalle. Questa cittadina evoca il periodo della mia (come forse di tantissimi altri) giovinezza quando, studenti, nelle lezioni di storia e letteratura, si studiavano la figura di Carlo Magno e la Chanson de Roland, strettamente connessi. Ed eccoci qui, sul posto, a immaginare proprio quegli eventi, l'esercito Carolingio e l'attacco alle spalle dei Baschi (nella letteratura trasformati in Mori) come rappresaglia per la distruzione della fortezza di Pamplona, che costò la disfatta della retroguardia dell'esercito carolingio e la morte del paladino Rolando. In realtà sono state fatte molte ipotesi su questa vicenda, e tutt'ora non esiste una certezza storica, e il canto letterario ha posto il suo sigillo. È la prima sosta dei pellegrini che seguono il Camino Francés e arrivano nella Navarra dalla cittadina francese di St Jean Pied-de-Port; Roncisvalle/Orreaga non è molto di più del complesso ecclesiale della Collegiata, l'ostello per i pellegrini e qualche posadas. Si trova appena sotto il passo di Puerto de Ibañeta che separa la Spagna dai territori baschi francesi, dove è presente un


















LOURDES
Epilogo
Con un po' di melanconia varchiamo il confine franco-ispanico e scendiamo nel territorio francese per raggiungere Torino in tarda serata. ARRIVEDERCI bellissima Spagna! Sicuramente ci rivedremo!
Fortunatamente non c'è traffico e procediamo spediti. Tra poco passeremo per lo svincolo verso Lourdes: e se ci fermassimo?













Thank you! Grazie!